Giannola (presidente Svimez): "Il Sud come soluzione, e non più come emergenza"

Adriano Giannola con Barbara Lezzi, neoministra per il Mezzogiorno
L'Italia può salvarsi se mette il Mezzogiorno al centro del suo futuro, valorizzando la sua vocazione euromediterranea, rimasta fino ad oggi inespressa. Il Sud, dunque, comne soluzione originale ai problemi dell'Italia, e non più come emergenza. Ma non sarà facile, visto che al Governo sono andate due forze, che sulla questione la pensano in modo assai differente.
Questo il succo dell'intenso, rigoroso, lungimirante intervento, quasi una lectio magistralis, pronunciato dal presidente della Svimez, Adriano Giannola, al convegno "Laboratorio Sud, Idee per il Paese", promosso dalla Cgil pugliese, e svoltosi qualche giorno fa a Bari. È stato un appuntamento di importanza straordinaria per il Mezzogiorno, che Lettere Meridiane sta raccontando a puntate (trovate alla fine del post i collegamenti agli articoli precedenti).
Di seguito, la trascrizione del qualificato discorso del presidente Svimez.
* * *
Come Svimez ci occupiamo del Mezzogiorno non per amore del Mezzogiorno in sé.
Il Mezzogiorno non è una categoria storica o economica, che può essere analizzata a prescindere.
Noi ci occupiamo del Mezzogiorno perché ci occupiamo dell’Italia. È dal 1946 che sosteniamo che le sorti dell’Italia sono fortemente condizionate da quella che si potrebbe definire l’unificazione mancata del Paese. C’è stata quella politica, ma non quella economica.
Oggi più che mai si ripropone questo tema. Per vent’anni, in assoluto isolamento, anzi visti un po’ come uccelli del malaugurio, abbiamo detto che l’Italia non va da nessuna parte, se non riprende un discorso coerente sul Mezzogiorno.

Questo discorso si è fermato nel 1992, ed è stato addirittura peggiorato nel 1998 con la nuova programmazione, fino ad arrivare a costruire quella “riserva indiana” rappresentata dai Fondi Strutturali, in cui chiudere venti milioni di persone e  buttar via la chiave.
Tutto questo l’Italia l’ha pagato durissimamente, con una decadenza che dal 1992 è evidente a tutti, e che è esplosa drammaticamente nel 2008, ma che dal 1998, dall’avvento dell’euro, era progressivamente sempre più condizionante.
Il nostro made in Italy è perfetto, esporta, e così via, ma l’Italia non cresce, diventa più vecchia, non ha capacità, a partire dal made in Italy, di essere innovativa come lo è il resto del Mondo, e noi siamo relegati in Europa ad essere, come spesso la definisco, “un’espressione geografica”.
Il problema che oggi si pone è cosa vogliamo fare di questo Paese. Non è il problema del Mezzogiorno: è il paese, il problema.
Come Svimez, continuiamo timidamente a dire che la soluzione è il Mezzogiorno, non un miracolo, ma una semplice operazione di razionalità.
La scena politica offre in queste settimane una occasione interessante, perché per la prima volta, in modo che definirei preterintenzionale, si è determinata una situazione del tutto particolare: il Governo mette insieme due forze che almeno formalmente hanno obiettivi e interessi molto diversi. Alcuni sono molto chiari, altri, almeno per me, meno chiari.
Credo questo possa essere un bene, perché comporta un confronto franco, pesante ma spero chiarificatorio. Al momento stiamo vivendo una fase che, parafrasando Lenin, potremmo definire estremismo, malattia infantile del populismo. Viviamo di annunci, di grandi azioni che non costano nulla ma sono simboliche, almeno da una parte di questo Governo. Ma non capiamo ancora, esattamente qual è la vera strategia di fondo, dove s’intende approdare.
Se la priorità, come si legge nel Contatto di Governo sottoscritto dalle due forze che hanno costituito la maggioranza, è il regionalismo a geometria variabile, siamo di fronte ad una pericolosa illusione, anche se una parte del Governo l’indica come soluzione alla crisi che colpisce l’Italia.
L’idea  di uscire per vie separate dalla crisi è un’illusione pericolosissima, che però in questo momento, è il vero punto di confronto su cui prima o poi questo governo dovrà esprimersi.
Nel corso dell’intervento che mi ha preceduto è stata sottolineata la necessità di accelerare i tempi. Sono d’accordo. Non abbiamo più tempo. Abbiamo bisogno di molte cose drastiche e chiare, in brevissimo tempo. Soprattutto al Sud, ma complessivamente, per tutto il Paese.
Cosa facciamo per il Sud, in questa ottica di Mezzogiorno soluzione e non più Mezzogiorno emergenza, cui si deve mettere una pezza?
Tutto il Paese è in emergenza, checchè ne diciamo: la ripresa economica sì, ma abbiamo perso il 30% della capacità produttiva al Sud. Abbiamo tante eccellenze che sempre più si avvicinano a quelle del Nord. È vero ma accade per il semplice fatto che facendo selezione, emerge la media e sale tutto. Ma se andiamo a contare queste eccellenze, come fa ogni anno la Fondazione La Malfa ci accorgiamo che sono sempre di meno. Sempre più vicine al Nord, ma sempre di meno. Ed è una banalità, su cui è il caso di fare chiarezza, una volta per tutte: non viviamo di eccellenze, viviamo di medie, e, soprattutto, di tante cose che stanno molto al di sotto della media.
L’impatto sociale di questa ritrovata crescita è molto modesto: l’1, l’1,5, l’1,3% - se quest’anno va bene sarà l’1,2% - vuol dire che il Sud tornerà ai livelli del 2007, che fu già un anno molto pesante, nel 2030. Il che vuol dire che questo ritmo di crescita è insostenibile per il Mezzogiorno.
Allora dobbiamo dare dei segnali molto chiari e molto forti. Il Governo ha questa responsabilità. Di fare delle scelte. Di avere una strategia. Di esprimerla. Per ora, le strategie sono espresse in veti, ed azioni che non costano nulla, ma danno attuazione a certe promesse elettorali, che non costano nulla. Il problema sorgerà allorquando si dovrà decidere come distribuire le scarse risorse disponibili, per fare qualcosa che ci porti fuori dal crescere all’1,2 - 1,3% . Noi abbiamo bisogno di crescere al Sud almeno al 3% e il Centro Nord attorno al 2%. È un obiettivo minimo per tornare in un contesto di competizione e di mantenimento delle posizioni.
Che facciamo per raggiungere questo obiettivo? Le soluzioni sono due. C’è la soluzione della Lega, chiaramente espressa in una recente intervista da Zaia, che ha definito un giorno storico l’incontro con la Ministra per le autonomie territoriali, in cui è stata chiesta la restituzione delle risorse del cosiddetto residuo fiscale. Ma è una strada impraticabile, che sarebbe per il Mezzogiorno e per l'unità del Paese un disastro.
La strada è diversa. Se vogliamo essere vicini al mercato, con lo Stato che aiuta con nuovi investimenti pubblici, la soluzione è proprio quella di tornare ad investire al  Mezzogiorno, con il 40-45% degli investimenti pubblici, non solo delle amministrazioni centrali, ma anche dell’amministrazione pubblica allargata, delle aziende pubbliche come Anas e Ferrovie.
Abbiamo tutti i crismi per pretenderlo in base ai criteri di efficienza ed efficacia. Se oggi c’è qualcosa che è efficiente ed efficace fare per riportare il Paese a crescere è investire al Sud: investimenti pubblici, perché l’investimento pubblico è la premessa per attirare l’investimento privato. Fare la infrastrutture, fare le connessioni, fare le reti, che è un compito pubblico, è la precondizione per attirare investimenti e per sostenere le imprese, e magari la loro crescita, visto che il Sud è pieno di microimprese.  Nascono migliaia di start up, ma poi se andiamo a vedere bene, si tratta per lo più di pizzerie.
Se vogliamo essere razionali, è il Sud il luogo dove concentrare le risorse, altro che restituire al Nord cose che non sono legali del Nord, ma sono la semplice applicazione di un criterio progressivo di fiscalità.
Credo che questo sia un nodo che va discusso con molta pacatezza, con i numeri, con gli argomenti, e poi fatto diventare un intervento legislativo. Non mi sembra, però, che su questo ci sia una grande convergenza, in questo governo. D’altra parte, il Sud ha oggi un’altra caratteristica: politicamente controlla il Parlamento, detto in modo molto franco, quindi queste scelte hanno tutto lo spazio politico per essere realizzate.
Ma perché dovrebbe crescere il Sud, e dalla sua crescita ne trarrebbe vantaggio l’intero Paese? Perché l’Italia dovrebbe cambiare registro superare questa ignavia, questa pigrizia, molto settentrionale,  con cui affronta il problema chiave che è l’Italia è in questa Unione Europea.
L’Italia è l’unico paese esclusivamente mediterraneo. Potrebbe e dovrebbe essere la punta di diamante di una politica euromediterranea. Non l’ha mai fatta, l’ha delegata alla Francia, che non l’ha fatta perché oltre al Mediterraneo ha anche l’Atlantico e noi ci siamo impigriti in vent’anni, perdendo enormi posizioni di rendita, che ancora possiamo sfruttare.  Non si tratterebbe di uno sfruttamento redditieri o parassitario: è l’unico modo che ha l’Italia di posizionarsi nell’economia globale, oggi. Vocazione euromediterranea, sviluppo euromediterraneo, anche in prospettiva dello sviluppo dell’Africa, non da qui a quarant’anni, ma a sei o sette anni. O abbiamo una visione geopolitica sensata, come Nazione e quindi come Stato, oppure andremo come due macroregioni, una abbandonata e una a braccetto con la Baviera, a dissolvere questo sistema.
Quali sono gli strumenti rispetto a questa strategia. Si può cominciare dalle Zone Economiche Speciali: abbiamo una grande occasione di creare una rete che potrà iniziare a trascinare quel cambiamento di baricentro, se la sapremo sfruttare.
È una strategia che partendo dal Mezzogiorno potrebbe cambiare il sistema Italia. Poi abbiamo il problema della grandi infrastrutture e del loro finanziamento: e non è un problema di risorse, a questo punto, perché se cambiamo verso, l’Italia diventa attrattiva e può intercettare ben altro che le risorse del nostro settore pubblico.
Così potremmo tornare ad avere un ruolo nel Mondo.

Gli altri articoli sul convegno della Cgil:




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