Che le parole tornino ad essere di pietra (di Marcello Colopi)
Mai come in questo articolo, Marcello Colopi - sociologo, regista, attore teatrale - tiene fede alla mission per cui è nato il suo periodico appuntamento con gli amici e i lettori di Lettere Meridiane: liberare il pensiero, tornare a riflettere, anche se questo costa difficoltà.
Il brano che state per leggere è soltanto in apparenza una (comunque lucidissima) riflessione sul sempre più frequente uso magico delle parole, sull'attuale comunicazione politica e sull'incidenza che essa ha sulle scelte dell'elettorato. In realtà è una profonda e nobile riflessione sull'etica delle parole, che si indeboliscono quando perdono i loro significati. Accordarsi "sulla parola" era una volta gesto di reciproco rispetto e lealtà. Oggi non è più possibile, perché le parole sono svuotate di senso, e rendono più arduo l'esercizio delle lealtà, della coerenza, della fedeltà.
Agli amici e ai lettori di Lettere Meridiane non soltanto l'invito a leggere con attenzione (mettetevi comodi, prendetevi un quarto d'ora di tempo, leggete dall'inizio alla fine...), ma a dire la loro.
(g.i.)
Il brano che state per leggere è soltanto in apparenza una (comunque lucidissima) riflessione sul sempre più frequente uso magico delle parole, sull'attuale comunicazione politica e sull'incidenza che essa ha sulle scelte dell'elettorato. In realtà è una profonda e nobile riflessione sull'etica delle parole, che si indeboliscono quando perdono i loro significati. Accordarsi "sulla parola" era una volta gesto di reciproco rispetto e lealtà. Oggi non è più possibile, perché le parole sono svuotate di senso, e rendono più arduo l'esercizio delle lealtà, della coerenza, della fedeltà.
Agli amici e ai lettori di Lettere Meridiane non soltanto l'invito a leggere con attenzione (mettetevi comodi, prendetevi un quarto d'ora di tempo, leggete dall'inizio alla fine...), ma a dire la loro.
(g.i.)
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Da un po di tempo mi si chiede: “sei preoccupato del clima politico?” Rispondo di sì. Ma più che preoccupato sono affascinato. Sì, proprio affascinato dall’uso magico delle parole.
Mi spiego. C’è stato un periodo della nostra storia politica e culturale in cui si credeva che le parole fossero pietre, quindi pesanti, forti. Oggi prevale, invece, un uso magico della parola. Un condono diventa “pace fiscale” con buona “pace” di tutti coloro che fino al giorno prima erano contrari al condono, che non è più un condono ma un atto bonario e magnanimo che compie lo Stato: appunto un atto di pace. Un’alleanza di governo che, per antonomasia, è il massimo dell’alleanza politica, diviene un contratto. La sostanza è la stessa ma cambia, per magia, il significato intrinseco della parola.
Sono affascinato da questa evoluzione continua della parola che oggettivamente mantiene il suo significato (che si chiami pace fiscale o condono il risultato è lo stesso: premia chi ha evaso i tributi ) ma soggettivamente il suo significato cambia, anzi si modifica, in positivo.
Noi che siamo stati educati in famiglia e nella vita all’idea che le parole sono come pietre e vanno usate con molta attenzione, oggi ci ritroviamo un nuovo paradigma: le parole assumono il significato che si vuole dare. Ovviamente il concetto è molto più profondo, perché noi sappiamo che il linguaggio è frutto di una storia personale e sociale. Anzi, il linguaggio e le parole sono pratica sociale perché possono esercitare un potere immenso: noi diventiamo ciò che diciamo.
Questa è la magia che mi affascina (sì, lo so: si può essere affascinati anche dal male). Oggi, molti, sono diventati bravi a fare in modo che un’immagine vale mille parole ed una parola vale mille immagini: in sostanza è vero tutto ed il contrario di tutto. L’esatto contrario di ciò che raccontava Carlo Levi.
Le parole in sé non sono buone o cattive, ma potenzianti o depotenzianti. È questa la nuova pratica sociale del linguaggio, potenziare o depotenziare un concetto dando un valore diverso alle parole o peggio utilizzandole in modo che si adattino a concetti diversi. Il meccanismo è semplice, a volte disarmante; tutto si basa nel ripetere all’infinito un concetto semplice, frasi ripetute milioni di volte, imposte con forza alla gente e da queste accettate meccanicamente ed inconsciamente. Molto illuminante in tal senso è una intervista ad Alessandro Orlowski uscita nel mese di luglio del 2018 sulla rivista Rolling Stones. Alessandro Orlowski è un esperto di comunicazione italiana di 51 anni che vive in Spagna ed ha studiato la piattaforma social di Salvini non a caso denominata “La Bestia”. La comunicazione funziona in questo modo: è stato creato un sistema che controlla le reti social di Salvini (appunto il sistema chiamato la Bestia) che analizza quali sono i post e i tweet che ottengono i migliori risultati e che tipo di persone hanno interagito. In questo modo possono modificare la strategia attraverso la propaganda. Un esempio: pubblicano un post su Facebook in cui si parla di immigrazione, e il maggior numero di commenti è “i migranti ci tolgono il lavoro” . Il successivo post rafforzerà questa paura. Il sistema è stato progettato e gestito da Luca Morisi, spin doctor digital della Lega e di fatto responsabile della comunicazione di Salvini.
Tutto ciò è paurosamente semplice: trovano un nemico politico (nella fattispecie i migranti) iniziano una serie di post che a loro volta ne generano degli altri e altri ancora in modo da invadere le varie piattaforme. Pensate che mediamente ogni ora 18mila utenti condividono un post di Salvini che a sua volta scrive, in media, un post ogni due ore. È stato calcolato che la visibilità di Salvini sui Social corrisponde ad una campagna pubblicitaria che costerebbe 6,8 milioni di euro al mese. In tutto ciò è chiaro che le parole non possono più essere di pietra ma fluide, semplici, intercambiabili.
Una volta la politica formava classi dirigenti. Cioè quelli che avevano – appunto – il compito di dirigere. Guidare la comunità, intuendo la strada dove condurre la società anche quando quella via non la vedeva nessuno. La politica fissava il suo sguardo lontano e sapeva spiegare alle persone che quella era la strada giusta, a volte anche sfidandone le ire, smontandone le incomprensioni, affrontandone coraggiosamente la protesta e le paure. Oggi, il successo in politica si muove sulla conferma. Non indico alla comunità la strada ma liscio il pelo alla comunità delle urla, quindi le parole dei leaders “devono essere semplici” facilmente replicabili da tutti; concetti e parole intercambiabili e soprattutto replicabili. Ecco cosa mi affascina: Il nulla.
Svelato l’arcano. Sono affascinato da questi signori come quando da bambino andavo al circo con mio padre; vedevo il mago che trasformava il cilindro in uccello ed esclamavo “ Ohh!!!”
Mio padre mi diceva:”sì è bravo, perché ti nasconde il trucco”.
Tutto ciò non è nuovo, anzi oggi come ieri, ognuno di noi influenza ed è influenzato dalla comunicazione: siamo influenzati dalle parole che condividiamo con gli altri, e modifichiamo così il nostro stare al mondo. In sostanza le parole ed il linguaggio hanno dei padroni perché esse sono strumento di potere. Per spiegarmi farò riferimento al teatro ed in particolare ad un testo teatrale a cui per varie ragioni sto lavorando: Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. In questo testo vi è un dialogo tra Alice e Humpty Dumpty, il goffo personaggio a forma di uovo. La bambina non capisce le parole di Humpty Dumpty, che si spiega così: “Quando io mi servo di una parola, quella parola significa quello che piace a me, né più né meno.”
Cosi la nostra Alice comprende che le parole possono avere tanti significati, ma la conclusione del suo bizzarro interlocutore è una lezione di potere che solo la leggerezza della fiaba poteva impartire: “quando faccio fare a una parola un simile lavoro, la pago sempre di più.”
Questo rivela la forza delle parole e il desiderio del potere di impadronirsene. Esiste un apprendimento tramite le parole usate dal potere. È innegabile che ciò avvenga, ma il punto fondamentale ora non questo bensì le strategie da mettere in campo per fronteggiare questo uso spregiudicato del Potere? Che parole usare? Con quali mezzi? Per cercare di cambiare l’attuale Potere, dobbiamo comprendere quali mezzi usa, con quali strategie. Torna d’attualità l’insegnamento di don Lorenzo Milani che in una lettera del 20 maggio 1956 scriveva: «Ciò che manca ai miei piccoli allievi è il dominio della parola». Solo che oggi non è la conoscenza delle “parole” a fare la differenza ma come esse sono usate.
Il primo impegno è fare in modo che tornino ad essere pietra. Le parole sono pietra quando raccontano idealità, impegno, coraggio e soprattutto quando esse valgono per tutti e tutti si riconoscono in esse. Le parole vere raccontano di persone che sanno affrontare con motivazione etica la propria vita e che di fronte alle sconfitte, alle avversità e alle frustrazioni sono capaci di non perdere la speranza. Le parole sono forti quando contengono elementi di speranza e sanno guardare con fiducia al futuro nonostante il passato e il presente siano faticosi.
Dal punto di vista umano e sociale significa che di fronte alla salita, io ho deciso che quella fatica può e deve essere affrontata con forza ed impegno perché nelle mie priorità c’è un fortissimo desiderio di un progetto di società migliore, inclusiva e solidale. Dare il valore alle parole e alle idee che esse raccontano significa, in ultima analisi, riscoprire lo scopo profondo del nostro vivere, avendo la forza di metabolizzare la fatica trasformandola in un importante mattoncino di speranza e di cambiamento del nostro piccolo mondo.
Solo cosi possiamo scoprire il trucco di questi incantatori di circo. Dare un senso alla nostra vita che è raccontata da parole che sono pietra.
Marcello Colopi
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