La dura lezione impartita dal caporalato (di Geppe Inserra)
Tra i fiumi di parole come al solito versati in occasioni del genere, meritano un'attenzione particolare quelle pronunciate da Magda Jarczak, segretaria provinciale della Flai Cgil di Foggia.
Intervistata dal telegiornale di Sky, la giovane sindacalista, che ha una conoscenza diretta e profonda del fenomeno del caporalato, per essere sempre in prima fila al fianco dei braccianti, ha denunciato che in questi anni nelle campagne del Tavoliere è cambiato molto poco.
"Al di là di una maggiore consapevolezza dei lavoratori e di una certa intensificazione dei controlli - ha sottolineato-, i tre pilastri su cui prospera il caporalato sono rimasti saldi."
A richiesta della giornalista che la intervistava, ha quindi indicato i "pilastri" nel collocamento dei braccianti, nel loro trasporto e nella accoglienza.
Nella consueta e stucchevole orgia di proclami e dichiarazioni, il realismo della sindacalista mi ha particolarmente colpito, e la sua lucida analisi dovrebbe indurre tutti gli apparati pubblici ad un'attenta riflessione.
L'intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro, il trasporto e l'accoglienza dei lavoratori migranti sono servizi pubblici. Se diventano "pilastri" di un fenomeno criminoso diffuso, qual è il caporalato, è dunque in primo luogo perché l'apparato pubblico che quei servizi dovrebbe garantire, non riesce a farlo non la dovuta efficienza, oppure non riesce a farlo perché talune norme limitano la sfera d'azione pubblica, favorendo il privato, a svantaggio del servizio pubblico.
Emblematico è proprio il caso del collocamento. Prima che il mercato del lavoro venisse (selvaggiamente) privatizzato, il collocamento dei braccianti veniva svolto dagli uffici del lavoro. I datori di lavoro che intendevano assumere manodopera dovevano rivolgersi ai servizi per l'impiego presenti in ogni comune, e il collocatore provvedeva all'avvio della manodopera.
Certo anche allora esistevano sacche più o meno ampie di illegalità, ma il sistema garantiva comunque una certa trasparenza.
E oggi? La legge sul caporalato ha inasprito le pene a carico di quanti effettuano intermediazione di manodopera illegale, ma non ha rivisto le funzioni dei servizi pubblici per l'impiego, da anni sospesi nel limbo di una riforma sempre annunciata ma mai effettivamente attuata.
Lo stesso discorso vale per il trasporto, che è una competenza mista, pubblico-privato, nel senso che sono le regioni, attraverso apposite pianificazioni, a determinare le politiche territoriali per il trasporto pubblico.
Per favorire i collegamenti tra i braccianti e le aziende agricole dopo qualche interessante esperimento che risale agli anni Settanta del secolo scorso (quasi mezzo secolo, ormai...) poco o nulla è stato fatto, ed è rimasta ancora sulla carta quella parte della nuova normativa che incentiva forme di convenzione tra aziende agricole ed aziende di trasporto.
Dulcis in fundo, l'accoglienza. Anche in questo caso, le politiche pubbliche sono state più rivolte a smantellare (com'è successo per il "grand Ghetto") che non a studiare soluzioni. Un po' di anni fa, ha dato risultati incoraggianti l'esperimento dell' "albergo diffuso" voluta dall'allora assessora regionale (oggi eurodeputata) Elena Gentile.
Il compianto Guglielmo Minervini, con il piano Capo Free Ghetto Off, è stato il primo a tentare la strada di un approccio integrato alla questione, mettendo in discussione l'intera filiera.
E oggi? L'impressione è che lo Stato ed i suoi apparati concepiscano se stessi soltanto come repressori, mettendo in secondo piano gli altri aspetti - i pilastri - su cui prosperano e si arricchiscono i caporali.
L'inasprimento delle sanzioni e delle pene previsto dalle nuove norme è sacrosanto, ma a vincere la battaglia non possono essere soltanto gli sceriffi, come si è puntualmente sentito in questi giorni.
Chiudere i ghetti com'è stato promesso significa occuparsi della parte emersa dell'iceberg. Non è cacciando gli immigranti dalle loro baracche che verrà sconfitto il lavoro nero, lo schiavismo o i pomodori verranno raccolti ed acquistati a prezzi ragionevoli dalle industrie e la filiera verrà moralizzata.
Occorre che i servizi pubblici facciano la loro parte, recuperando quell'assenza, quella latitanza su cui si fondano i "pilastri" stigmatizzati da Magda Jarczak.
Dal fenomeno turpe e magmatico del caporalato, giunge una lezione dura, amara: l'illegalità si combatte prima di tutto attraverso servizi pubblici di qualità.
G.I.
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