Ricostruire il palazzo di Federico II? Anche la storia dell'arte dice che si può tentare...
Ricostruire il palazzo imperiale di Federico II? Si può, almeno da un punto di vista ipotetico. E senza rinunciare al rigore scientifico. Per la prima volta, l’idea lanciata dallo scrittore giornalista, Giovanni Cataleta, ed oggetto di un appassionato dibattito, culminato in un’affollatissima tavola rotonda al Museo Civico di Foggia) trova una sponda scientifica autorevole.
Se ne parla in un interessante saggio di Francesco Gangemi, ricercatore e storico dell’arte, intitolato Il palazzo di Federico II a Foggia: la testimonianza epigrafica e pubblicato nel ponderoso volume Il potere dell’arte nel Medioevo, Studi in onore di Mario D’Onofrio, da Campisano Editore per iniziativa del Rettorato dell’Università Sapienza di Roma.
Lo studio anticipa i risultati di una più ampia ricerca in corso presso la Bibliotheca Hertziana, Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte di Roma e realizzata con il sostegno della Fritz Thyssen Stiftung, una fondazione culturale tedesca.
Il curriculum scientifico di Gangemi (che è anche curatore dell’opera) e l’intero impianto del volume rivelano il particolare, ed originale, approccio della ricerca alla questione del palazzo regale foggiano.
D’Onofrio è un insigne studioso di storia dell’arte medievale e gli studi in suo onore si occupano, appunto, di storia dell'arte medievale.
La presenza fridericiana a Foggia viene studiata da Gangemi sotto il profilo storico, epigrafico ed artistico, a partire dalla testimonianza più importante (e forse non adeguatamente considerata dal punto di vista documentale) del rapporto tra Foggia e l’imperatore svevo: la lastra epigrafica che adornava il suo palazzo regale.
Da qui trae le mosse l’analisi dello studioso, che a partire dalla Fogia regalis sedes inclita imperialis, immortalata, appunto, dall'epigrafe, sottolinea come Foggia fu la sede privilegiata dell’impero di Federico II, all’interno di una logica che rompeva definitivamente con la tradizione normanna e che fu innovativa anche rispetto al modo con cui la scelta della capitale venne declinata, puntando non solo su Foggia, ma su un’area più estesa: “la Capitanata divenne protagonista della costruzione di un’inedita regione capitale”.
Di questa regione capitale, il palazzo foggiano rappresentò il centro nevralgico.
Scegliendo di trasferire a Foggia il centro dell’impero e di articolarlo su un’area più ampia rispetto ad una sola città, Federico interruppe la tradizione normanna che prevedeva una corte stanziale, privilegiando l’idea di “un potere fisicamente accentrato nella persona dell’imperatore e nelle sue plurime manifestazioni”. Fisicamente distante dal centro dell’impero e culturalmente distante da questa idea del potere imperiale, Palermo non era più adeguata.
La scelta ricadde su Foggia e sulla Capitanata per due ragioni essenziali: la loro centralità geografica rispetto alle necessità dell’impero, ma anche, come sagacemente annota Gangemi, per il fatto che l'area interessata era “priva di forze urbane consolidate e dunque facilmente convertibile al demanio – cosa che fu a tutti gli effetti realizzata.” Insomma, Federico colse le potenzialità dell'area vasta, ante litteram.
“Ebbe così inizio - scrive l’autore del saggio - una profonda trasformazione del territorio ad uso della curia, che trovò in Foggia il vero centro nevralgico. La città rispondeva alla perfezione ai requisiti imperiali: era un insediamento in crescita, ma non pienamente strutturato, il che garantiva tutti i servizi utili alla presenza della corte a fronte di ridotti disagi. La “colonizzazione” del territorio, inoltre, impose un poderoso programma edilizio che disseminò l’hinterland di Foggia di strutture difensive, residenziali e produttive, propagando ovunque segni tangibili della presenza imperiale.”
Secondo Gangemi, “il palatium di Foggia fu il primo e principale, per aver ricoperto il ruolo di residenza urbana” dei segni della presenza imperiale. “Purtroppo - si legge ancora nel saggio - quasi nulla resta di quella che fu a tutti gli effetti la prima committenza federiciana, e solo attraverso uno scrupoloso riesame dei dati storici, archeologici e documentari sarà possibile suggerirne un’ipotetica ricostruzione.”
Essendo uno storico dell’arte, Gangemi studia in modo particolarmente approfondito l’aspetto di Federico II quale committente di opere di architettura e di arte, ravvisando nella domus foggiana un “incunabolo dell’arte imperiale”.
Ipotizzare una ricostruzione non è una bestemmia: ma presuppone un rigoroso percorso di studio e di ricerca, il cui punto di partenza Gangemi indica negli "scarsi resti materiali, tanto più preziosi di fronte alla constatazione che, nell’odierno tessuto urbano di Foggia, ogni traccia della domus federiciana sembra essersi polverizzata.”
I resti sono quelli che si trovano murati in piazza Nigri, sul fianco di Palazzo Arti: l’arco scolpito che doveva fungere da ingresso alla domus e la lastra epigrafica che, studiata approfonditamente da Gangemi fornirà sorprendenti rivelazioni, che vi racconterò in una prossima lettera meridiane. È comunque lo stesso autore del saggio ad annunciare, in una nota, precisamente la n.9: “Uno studio in tal senso (ovvero sulla ipotetica ricostruzione del palazzo, n.d.r.) è in preparazione da parte di chi scrive.”
Come si sa, il portale e l’epigrafe furono trasferiti in piazza Nigri dopo che l’immobile in cui si trovavano in precedenza era stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti alleati nell’estate del 1943.
In riferimento alla precedente collocazione, lo studio di Gangemi prende in considerazione quella che lo stesso autore definisce “una testimonianza poco nota”.
Si tratta di un disegno conservato nella Collezione di disegni e mappe del’Archivio di Stato di Roma (è quello che illustra il post).
“Corredato dalla scritta «Veduta del palazzo dell’imperatore Federico 2do a Foggia», il disegno – databile tra Sette e Ottocento – mostra gli elementi superstiti inseriti in un caseggiato ove è riconoscibile un lembo murario di dimensioni poderose: si tratta con ogni probabilità dell’originario recinto della domus, se è giusta l’ipotesi di attribuire all’arco la funzione di ingresso monumentale del balium”, scrive Gangemi. Ed è il punto di partenza di un’analisi che porterà a non poche sorprese, anche in riferimento al possibile ruolo dell’imperatore nella Cattedrale di Foggia ed in altre opere dell’architettura sacra.
Ne parleremo in una prossima lettera meridiana.
Geppe Inserra
Se ne parla in un interessante saggio di Francesco Gangemi, ricercatore e storico dell’arte, intitolato Il palazzo di Federico II a Foggia: la testimonianza epigrafica e pubblicato nel ponderoso volume Il potere dell’arte nel Medioevo, Studi in onore di Mario D’Onofrio, da Campisano Editore per iniziativa del Rettorato dell’Università Sapienza di Roma.
Lo studio anticipa i risultati di una più ampia ricerca in corso presso la Bibliotheca Hertziana, Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte di Roma e realizzata con il sostegno della Fritz Thyssen Stiftung, una fondazione culturale tedesca.
Il curriculum scientifico di Gangemi (che è anche curatore dell’opera) e l’intero impianto del volume rivelano il particolare, ed originale, approccio della ricerca alla questione del palazzo regale foggiano.
D’Onofrio è un insigne studioso di storia dell’arte medievale e gli studi in suo onore si occupano, appunto, di storia dell'arte medievale.
La presenza fridericiana a Foggia viene studiata da Gangemi sotto il profilo storico, epigrafico ed artistico, a partire dalla testimonianza più importante (e forse non adeguatamente considerata dal punto di vista documentale) del rapporto tra Foggia e l’imperatore svevo: la lastra epigrafica che adornava il suo palazzo regale.
Da qui trae le mosse l’analisi dello studioso, che a partire dalla Fogia regalis sedes inclita imperialis, immortalata, appunto, dall'epigrafe, sottolinea come Foggia fu la sede privilegiata dell’impero di Federico II, all’interno di una logica che rompeva definitivamente con la tradizione normanna e che fu innovativa anche rispetto al modo con cui la scelta della capitale venne declinata, puntando non solo su Foggia, ma su un’area più estesa: “la Capitanata divenne protagonista della costruzione di un’inedita regione capitale”.
Di questa regione capitale, il palazzo foggiano rappresentò il centro nevralgico.
Scegliendo di trasferire a Foggia il centro dell’impero e di articolarlo su un’area più ampia rispetto ad una sola città, Federico interruppe la tradizione normanna che prevedeva una corte stanziale, privilegiando l’idea di “un potere fisicamente accentrato nella persona dell’imperatore e nelle sue plurime manifestazioni”. Fisicamente distante dal centro dell’impero e culturalmente distante da questa idea del potere imperiale, Palermo non era più adeguata.
La scelta ricadde su Foggia e sulla Capitanata per due ragioni essenziali: la loro centralità geografica rispetto alle necessità dell’impero, ma anche, come sagacemente annota Gangemi, per il fatto che l'area interessata era “priva di forze urbane consolidate e dunque facilmente convertibile al demanio – cosa che fu a tutti gli effetti realizzata.” Insomma, Federico colse le potenzialità dell'area vasta, ante litteram.
“Ebbe così inizio - scrive l’autore del saggio - una profonda trasformazione del territorio ad uso della curia, che trovò in Foggia il vero centro nevralgico. La città rispondeva alla perfezione ai requisiti imperiali: era un insediamento in crescita, ma non pienamente strutturato, il che garantiva tutti i servizi utili alla presenza della corte a fronte di ridotti disagi. La “colonizzazione” del territorio, inoltre, impose un poderoso programma edilizio che disseminò l’hinterland di Foggia di strutture difensive, residenziali e produttive, propagando ovunque segni tangibili della presenza imperiale.”
Secondo Gangemi, “il palatium di Foggia fu il primo e principale, per aver ricoperto il ruolo di residenza urbana” dei segni della presenza imperiale. “Purtroppo - si legge ancora nel saggio - quasi nulla resta di quella che fu a tutti gli effetti la prima committenza federiciana, e solo attraverso uno scrupoloso riesame dei dati storici, archeologici e documentari sarà possibile suggerirne un’ipotetica ricostruzione.”
Essendo uno storico dell’arte, Gangemi studia in modo particolarmente approfondito l’aspetto di Federico II quale committente di opere di architettura e di arte, ravvisando nella domus foggiana un “incunabolo dell’arte imperiale”.
Ipotizzare una ricostruzione non è una bestemmia: ma presuppone un rigoroso percorso di studio e di ricerca, il cui punto di partenza Gangemi indica negli "scarsi resti materiali, tanto più preziosi di fronte alla constatazione che, nell’odierno tessuto urbano di Foggia, ogni traccia della domus federiciana sembra essersi polverizzata.”
I resti sono quelli che si trovano murati in piazza Nigri, sul fianco di Palazzo Arti: l’arco scolpito che doveva fungere da ingresso alla domus e la lastra epigrafica che, studiata approfonditamente da Gangemi fornirà sorprendenti rivelazioni, che vi racconterò in una prossima lettera meridiane. È comunque lo stesso autore del saggio ad annunciare, in una nota, precisamente la n.9: “Uno studio in tal senso (ovvero sulla ipotetica ricostruzione del palazzo, n.d.r.) è in preparazione da parte di chi scrive.”
Come si sa, il portale e l’epigrafe furono trasferiti in piazza Nigri dopo che l’immobile in cui si trovavano in precedenza era stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti alleati nell’estate del 1943.
In riferimento alla precedente collocazione, lo studio di Gangemi prende in considerazione quella che lo stesso autore definisce “una testimonianza poco nota”.
Si tratta di un disegno conservato nella Collezione di disegni e mappe del’Archivio di Stato di Roma (è quello che illustra il post).
“Corredato dalla scritta «Veduta del palazzo dell’imperatore Federico 2do a Foggia», il disegno – databile tra Sette e Ottocento – mostra gli elementi superstiti inseriti in un caseggiato ove è riconoscibile un lembo murario di dimensioni poderose: si tratta con ogni probabilità dell’originario recinto della domus, se è giusta l’ipotesi di attribuire all’arco la funzione di ingresso monumentale del balium”, scrive Gangemi. Ed è il punto di partenza di un’analisi che porterà a non poche sorprese, anche in riferimento al possibile ruolo dell’imperatore nella Cattedrale di Foggia ed in altre opere dell’architettura sacra.
Ne parleremo in una prossima lettera meridiana.
Geppe Inserra
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