Foggia rinasce se torneremo ad amarla (di Franco Antonucci)
Il bell'articolo di Francesco Caponigro sulla presunta "bruttezza" di Foggia ha suscitato un dibattito vivace ed appassionato tra gli amici e i lettori di Lettere Meridiane. Tra gli interventi più interessanti e intensi c'è quello di Franco Antonucci, come al solito attento e coinvolto osservatore delle cose che riguardano il capoluogo dauno, e le sue prospettive. Condivido del tutto sia la tesi di Caponigro, che quella di Antonucci (peraltro ripresa da diversi amici interventi nel dibattito, come Gino Longo): se Foggia sia bella o brutta non è una questione meramente estetica, ma riguarda il modo di viversi, di concepirsi della città, il suo rapporto con i cittadini, sempre più spesso costretti, per citare Davide Leccese, ad abitarla, piuttosto che a viverla.
Per uscire da questo circolo vizioso non c'è che un modo: imparare o tonare ad amarla. Ecco la belle riflessioni di Franco Antonucci.
È il motivo della favola antica, nella quale l’amore trasforma la “belva” in un “Principe” bellissimo.
O anche quella dove la donna diventerà più bella solo se è “amata” o più amata.
Francesco ha espresso l’idea più straordinaria che si potesse immaginare. Ha superato tutte le altre considerazioni, più o meno tecnicistiche, in merito a questo dibattito esistenziale alternativo, altrimenti senza fine. Foggia è bella, Foggia è brutta.
Le persone concrete certamente penseranno che ogni favola è pura fantasia, e con la fantasia non si mangia, non si beve, non si fa l’amore. Però non costa nulla allargare il senso e la dimensione del nostro amore per vedere se qualcosa di magico succede.
Ci siamo “disamorati” per tempi lunghi e per troppi lontani eventi negativi e disastrosi. Antichi terremoti, Transumanze obbligate per noi mortificanti. Territori malsani per troppi secoli abbandonati ad una pastorizia coatta e a servizio di altre popolazioni. Negati al recupero di una Agricoltura poi rigogliosa.
Eventi bellici drammatici, devastanti, tra i più pesanti a scala nazionale, in ragione di posizioni militari strategiche, ferroviarie ed aeree, quanto mai legate alle naturali vocazionali territoriali. Che proprio oggi, invece, ed in opposta veste civile, ci vengono negate. Per esse siamo stati mortalmente colpiti e da esse siamo innaturalmente allontanati. Come dire “qualche decennio va vi abbiamo dato la medaglia, oggi ve la togliamo”.
Ricostruzioni postbelliche troppo veloci, quindi spesso casuali o eccessivamente e freddamente razionalizzate. Conseguenti immigrazioni, anche loro disorganiche.
Sembra che Foggia, dice Francesco, abbia perso, come conseguenza di tutto questo processo storico abbastanza recente, la propria anima, il proprio orgoglio, il senso della propria storia, o più semplicemente la propria naturale “tradizione”, che è anche folklore. Risultato: un calo di “amore”.
Tante volte io stesso ho osservato che la pigrizia “fatalista” del carattere foggiano, ha forse inciso su un nostro particolare DNA urbano, che porta a chiuderci in tante piccole “nicchie”, dentro le quali viviamo felici, anche con amore, ma troppo circoscritto. Non accorgendoci o non volendolo fare consapevolmente, di tutto quello che c’e all'esterno dei nostri piccoli ed egoistici mondi.
La popolazione di Foggia è come un grande ammasso di uova individuali, che stentano o non voglio aprirsi, rimanendo al calduccio di un grande cesto disordinato, sgradevole allo sguardo generale.
Quando decideremo tutti insieme di rompere i gusci delle nostre piccole uova, e cominceremo a cinguettare insieme, solo allora, forse, rinascerà di colpo una nuova armonia, una nuova bellezza.
La colpa di questo “brutto generico” non è l’Urbanistica di Foggia (visione d’insieme), caro Francesco, che, anzi, è interessante grazie proprio alla sua grande ed antica struttura radiale-anulare transumante, ma sono, invece, i tanti piccoli episodi autonomi (le nicchie, le uova). Non dialoganti. Poco innamorati delle scale intermedie crescenti.
Dobbiamo deciderci una buona volta e far esplodere tutti questi miniaturizzati “amori” e convogliarli in una grande atmosfera di “amore complessivo”, urbano, come sembra che tu abbia voluto felicemente insegnarci, Francesco.
Eustacchiofranco Antonucci
Per uscire da questo circolo vizioso non c'è che un modo: imparare o tonare ad amarla. Ecco la belle riflessioni di Franco Antonucci.
* * *
Mi piace molto il concetto poetico di Francesco Caponigro, in uno degli ultimi pezzi pubblicati da Geppe Inserra nelle sue letteremeridiane, che per rilanciare la bellezza di fondo della nostra Foggia ci dice che dobbiamo, soprattutto e prima di tutto, imparare ad “amarla”. Bello!È il motivo della favola antica, nella quale l’amore trasforma la “belva” in un “Principe” bellissimo.
O anche quella dove la donna diventerà più bella solo se è “amata” o più amata.
Francesco ha espresso l’idea più straordinaria che si potesse immaginare. Ha superato tutte le altre considerazioni, più o meno tecnicistiche, in merito a questo dibattito esistenziale alternativo, altrimenti senza fine. Foggia è bella, Foggia è brutta.
Le persone concrete certamente penseranno che ogni favola è pura fantasia, e con la fantasia non si mangia, non si beve, non si fa l’amore. Però non costa nulla allargare il senso e la dimensione del nostro amore per vedere se qualcosa di magico succede.
Ci siamo “disamorati” per tempi lunghi e per troppi lontani eventi negativi e disastrosi. Antichi terremoti, Transumanze obbligate per noi mortificanti. Territori malsani per troppi secoli abbandonati ad una pastorizia coatta e a servizio di altre popolazioni. Negati al recupero di una Agricoltura poi rigogliosa.
Eventi bellici drammatici, devastanti, tra i più pesanti a scala nazionale, in ragione di posizioni militari strategiche, ferroviarie ed aeree, quanto mai legate alle naturali vocazionali territoriali. Che proprio oggi, invece, ed in opposta veste civile, ci vengono negate. Per esse siamo stati mortalmente colpiti e da esse siamo innaturalmente allontanati. Come dire “qualche decennio va vi abbiamo dato la medaglia, oggi ve la togliamo”.
Ricostruzioni postbelliche troppo veloci, quindi spesso casuali o eccessivamente e freddamente razionalizzate. Conseguenti immigrazioni, anche loro disorganiche.
Sembra che Foggia, dice Francesco, abbia perso, come conseguenza di tutto questo processo storico abbastanza recente, la propria anima, il proprio orgoglio, il senso della propria storia, o più semplicemente la propria naturale “tradizione”, che è anche folklore. Risultato: un calo di “amore”.
Tante volte io stesso ho osservato che la pigrizia “fatalista” del carattere foggiano, ha forse inciso su un nostro particolare DNA urbano, che porta a chiuderci in tante piccole “nicchie”, dentro le quali viviamo felici, anche con amore, ma troppo circoscritto. Non accorgendoci o non volendolo fare consapevolmente, di tutto quello che c’e all'esterno dei nostri piccoli ed egoistici mondi.
La popolazione di Foggia è come un grande ammasso di uova individuali, che stentano o non voglio aprirsi, rimanendo al calduccio di un grande cesto disordinato, sgradevole allo sguardo generale.
Quando decideremo tutti insieme di rompere i gusci delle nostre piccole uova, e cominceremo a cinguettare insieme, solo allora, forse, rinascerà di colpo una nuova armonia, una nuova bellezza.
La colpa di questo “brutto generico” non è l’Urbanistica di Foggia (visione d’insieme), caro Francesco, che, anzi, è interessante grazie proprio alla sua grande ed antica struttura radiale-anulare transumante, ma sono, invece, i tanti piccoli episodi autonomi (le nicchie, le uova). Non dialoganti. Poco innamorati delle scale intermedie crescenti.
Dobbiamo deciderci una buona volta e far esplodere tutti questi miniaturizzati “amori” e convogliarli in una grande atmosfera di “amore complessivo”, urbano, come sembra che tu abbia voluto felicemente insegnarci, Francesco.
Eustacchiofranco Antonucci
Commenti
Proprio come sappiamo fare benissimo con la squadra di calcio quando ci inorgoglisce di essere foggiani.