L’esplosione lentissima di un seme (di Francesco A. P. Saggese)

Inizierò il nuovo anno aprendo la finestra di casa e guardando gli alberi che ho di fronte.
C’è in particolare un albero, che con i suoi rami di anno in anno si avvicina sempre di più alla mia finestra, e adesso posso quasi toccarlo.
Penso di essere un uomo molto fortunato, perché ho la certezza di poter accarezzare un albero dalla mia finestra.
Un anno è un tempo lunghissimo e lentissimo che lascia sempre un segno, come farà la natura con il nuovo cerchio che scriverà sugli alberi.
Così ognuno di loro disegnerà a proprio modo questo ed altri orizzonti.
Fuori dalla finestra avrò davanti ai miei occhi la più antica e silenziosa lezione vivente dell’universo – penso ancora tra me e me; una lezione che sfugge all’universo umano.
Sono un uomo fortunato perché, tra le mie certezze, posso anche accarezzare un albero.
Ciascuno avrà le sue fondamentali certezze, penso ancora.
Ma basta il tempo di mandare giù il respiro per capire che non è così, non per tutti, non per ‘ciascuno’.
Ho visto nei giorni trascorsi molte persone camminare alla ricerca della propria certezza: una casa, un diploma, una legge, una mamma, un contratto, una guarigione, un Paese, una famiglia, un messaggio, la verità, … 
Gli alberi m’insegnano la certezza che siamo uguali perché siamo diversi. Ma l’uomo questa uguaglianza non l’ha voluta, ha preferito il peso delle differenze; ha preferito oltraggiare l’uguaglianza soffocando la dignità.
Lo ha fatto, ad esempio, con il futuro dell’umanità, con i bambini.
Li ha armati, li ha costretti in molti casi a fare chilometri a piedi per andare a scuola; molti li ha affamati, altri li ha abbandonati per le strade o li ha strappati alle proprie madri con la forza delle onde del mare. Sono molti quelli di cui ha abusato, che fa lavorare come schiavi per ore e ore, che tiene sotto le bombe o confinati nelle periferie delle città.
L’uomo che non si prende cura dei suoi figli – nessuno escluso – a qualsiasi latitudine del mondo, che uomo è? 
Che uomo è l’uomo che lascia dissetare una bambina da una pozzanghera sulla strada?

Che uomo potrà mai essere? 
Quali certezze potrà garantire?
Ha preferito calpestare l’uguaglianza e con essa la dignità.
Lo ha fatto ancora violentando le donne, uccidendole, picchiandole, sottopagandole nei luoghi di lavoro, offendendole con un linguaggio scurrile in ogni momento della giornata; le ha lasciate sole con i figli in braccio alla mercé dei trafficanti, o davanti a un fuoco sulla strada.
Penso ancora ai giovani senza lavoro o a quelli appesi alla precarietà di un contratto a termine, o a Giulio Regeni barbaramente ucciso in Egitto, per cui non mi stancherò mai di chiedere la verità.
Adesso scusatemi per queste parole nude e crude, sono giorni di festa e so che molti di voi non si sentiranno né colpevoli né complici, e in molti casi sarà così. Ma, al di là di questi ‘molti’, sono tanti i colpevoli e i complici, gli artefici della diseguaglianza; e forse si tratta della maggioranza, considerata l’immensa umanità che sopporta ogni giorno sulla propria pelle il peso e il dolore del non essere uguali e del conseguente mancato riconoscimento della propria dignità. 
Se devo pensare così al nuovo anno, che in queste ore trionfa sui biglietti freschi d’inchiostro che ci stiamo scambiando o sulle labbra lucide di burro cacao, vorrei partire da qui, dal cerchio marcio d’inciviltà che l’uomo in maniera consapevole ha deciso d’imprimere nella storia di questa umanità.
Penso all’umanità imperfetta di cui facciamo parte, e al tentativo, coraggioso e silente, che tuttavia c’è in essa di ricivilizzarla e di rinnovarla; penso a chi sostiene questa attesa, piantando il seme della speranza, della preparazione, del coraggio, dell’esempio.
Ognuno sia così seme di civiltà, ognuno scriva il proprio cerchio nella storia di questa umanità; questo è il mio augurio, mentre mi accingo a guardare fuori da questa finestra lo spettacolo della natura, con il cammino dei rami e la danza delle foglie dei maestosi alberi che, come scrisse il poeta, altro non sono se non l’ ‘esplosione lentissima di un seme’.

Francesco A. P. Saggese


La foto è di Pasquale D’Apolito (28 mm Studio)

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Commenti

Anonimo ha detto…
Profondo,tangibile,riflesso di realtà.

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