La bella Foggia che non c'è più: la Caserma di Cavalleria
Proseguo la pubblicazione del ciclo di vecchi articoli usciti sulla Gazzetta del Mezzogiorno, nell'ambito della rubrica Foggia da salvare. Diversamente dall'oggetto del primo articolo di qualche giorno fa, il portale di San Martino della Cattedrale, questa volta il bene di cui parlo non si è salvato. Nemmeno un po'.
Quando scrissi nel 1981, della Caserma di Cavalleria che qualche studioso ha attribuito a Federico II, sopravvivevano alcuni archi, residue testimonianze dell'antico splendore. Oggi non restano neanche quelli: sono stati divorati dalle consuete attività di sostituzione edilizia.
Più o meno stessa fine aveva fatto un altro gioiello di cui parlo nell'articolo: il Palazzo della Pianara, che secondo qualcuno era collegato alla Caserma di Cavalleria da una galleria, nel sottosuolo.
Alcuni storici negano la possibilità di camminamenti sotterranei (mancherebbe l'aria), però durante i lavori di sistemazione dell'omonimo piazzale Matteo Pazienza, che curava l'opera, si accorse dell'esistenza di un percorso sotto il piano stradale. Oggi sono in corso lavori di restauro, a cura di Luigi Colapietro, massimo esperto degli ipogei foggiani.
A fianco, nello scatto di Antonio Pipino, gli archi della Caserma di Cavalleria, come si presentavano nel 1981. La foto che apre il post è tratta invece dal libro Foggia Imperiale di Benedetto Biagi, ed è stata colorizzata con tecniche di intelligenza artificiale avanzata. Trovate qui l'intera collezione delle foto, originali in bianco e nero, e colorizzate, dell'interessante volume. Qui potete invece scaricare l'articolo originale comparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
FOGGIA — Due archi, stancamente addossati a un moderno palazzo, in mezzo a lamiere e rifiuti. Questo è tutto quanto rimane della “caserma di cavalleria di Federico II”, in vico Cappuccini.
Che a edificarla sia stato proprio l'imperatore svevo è cosa non certa: sicura, però, è la sua origine medievale, che ne faceva un edificio importante per una città priva di tracce medievali, qual è Foggia. A determinarne il progressivo degrado fu, più che il tempo, l'incuria degli uomini.
Agli inizi del secolo — sostengono gli ultimi testimoni oculari — si sentiva ancora suonare la fanfara della cavalleria. Ma quando i soldati si trasferirono nel vicino Convento dei Cappuccini, a via S.Severo (anche di questo altro importante edificio storico, non restano oggi che vaghe tracce), per la caserma di Federico la sorte fu segnata. Già prima della seconda guerra mondiale era ridotta a un rudere.
Il palazzo sorgeva all’esterno della porta arpana, all’estremo limite settentrionale del Piano delle Fosse. nel rione “delle quattro corsee”. Adiacente alla caserma c’era (e c'è ancora) vico Aquila, nome importante perché proprio su di esso si fonda la teoria che attribuisce a Federico II la paternità del palazzo.
Questo, infatti, veniva anche denominato “Taverna dell’Aquila”, forse perché parte dell'edificio (probabilmente proprio quella ubicata nell'omonimo vico) era adibita a punto di ristoro ed alloggio. Gli storici argomentano che l’aquila doveva essere sicuramente quella sveva e presumibilmente doveva adornare l’ingresso del palazzo. Altrimenti — asseriscono — il vico avrebbe dovuto chiamarsi per intero “vico taverna dell'aquila” e non solo “dell'aquila”. La denominazione, insomma, sottolineerebbe l’importanza dell’uccello rapace, simbolo fridericiano
La teoria è senz'altro cavillosa, anche perché manca ogni altro riferimento storico e documentale sull’origine del palazzo.
Sta di fatto, comunque, che, come narrano le cronache dell'epoca, la costruzione era molto bella e caratteristica, soprattutto per il portale, il porticato interno, le ampie arcate delle camerate e la cisterna. L’elemento architettonico più suggestivo era il grande sperone che sporgeva da uno dei lati. Anche se dovette subire successivi rimaneggiamenti, questi elementi sono indizi piuttosto precisi sulla fattura medievale della caserma.
Come s’è detto, essa ospitò i cavalleggeri almeno fino agli anni ’20. Con ogni probabilità, proprio da essa partirono i soldati che, nel 1895, repressero nel sangue i “moti del pane” divampati in città e sfociati in violenti assalti al municipio e ai molini.
Brandelli di storia, di cui non restano che tre malinconici archi che andrebbero in qualche modo preservati e “spiegati” alla cittadinanza, nell’attesa che ulteriori elementi vengano a convalidare oppure a smentire definitivamente la paternità fridericiana dell’edificio.
Più o meno per le medesime ragioni è andato distrutto un altro gioiello attribuito all'imperatore, la “Pianara”, una costruzione fortificata che sorgeva a qualche centinaio di metri dalla caserma, in via Manfredonia, dov’è attualmente sito un deposito di legname.
Costruito quale casino di caccia o quale avamposto fortificato, la “Pianara” era collegato alla caserma di cavalleria da un passaggio segreto, sotterraneo, che continuava fino a giungere nell’interno della città.
Lo splendido palazzo fu duramente colpito dalle bombe, nel corso della seconda guerra mondiale. Si trovava, infatti, proprio accanto ai binari della stazione ferroviaria, il più ricercato bersaglio delle “fortezze volanti”.
Quello che non fecero gli americani, lo portarono a compimento, purtroppo. i foggiani: le pietre della Pianara contribuirono inopinatamente alla ricostruzione delle case, anch’esse semidistrutte dai bombardamenti, che sorgevano nelle sue adiacenze.
E così si persero due tasselli fondamentali del mosaico della storia cittadina. Gli archi, piccolissime vestigia di un passato cosi grande, fanno adesso “brutta” mostra di se stessi, a vico Cappuccini, dubbiosi del loro stesso destino: saranno demoliti completamente o si penserà, in qualche modo, a farli rivivere quali testimonianze del passato e, perché no, esempi di uno scempio incredibile e doloroso?
Geppe Inserra
Quando scrissi nel 1981, della Caserma di Cavalleria che qualche studioso ha attribuito a Federico II, sopravvivevano alcuni archi, residue testimonianze dell'antico splendore. Oggi non restano neanche quelli: sono stati divorati dalle consuete attività di sostituzione edilizia.
Più o meno stessa fine aveva fatto un altro gioiello di cui parlo nell'articolo: il Palazzo della Pianara, che secondo qualcuno era collegato alla Caserma di Cavalleria da una galleria, nel sottosuolo.
Alcuni storici negano la possibilità di camminamenti sotterranei (mancherebbe l'aria), però durante i lavori di sistemazione dell'omonimo piazzale Matteo Pazienza, che curava l'opera, si accorse dell'esistenza di un percorso sotto il piano stradale. Oggi sono in corso lavori di restauro, a cura di Luigi Colapietro, massimo esperto degli ipogei foggiani.
A fianco, nello scatto di Antonio Pipino, gli archi della Caserma di Cavalleria, come si presentavano nel 1981. La foto che apre il post è tratta invece dal libro Foggia Imperiale di Benedetto Biagi, ed è stata colorizzata con tecniche di intelligenza artificiale avanzata. Trovate qui l'intera collezione delle foto, originali in bianco e nero, e colorizzate, dell'interessante volume. Qui potete invece scaricare l'articolo originale comparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
* * *
FOGGIA DA SALVARE / Fu colpita durante l’ultima guerra
Restano solo due archi della caserma di Federico
Forse da essa partirono i soldati che repressero nel sangue, nel 1895, i moti del pane
FOGGIA — Due archi, stancamente addossati a un moderno palazzo, in mezzo a lamiere e rifiuti. Questo è tutto quanto rimane della “caserma di cavalleria di Federico II”, in vico Cappuccini.
Che a edificarla sia stato proprio l'imperatore svevo è cosa non certa: sicura, però, è la sua origine medievale, che ne faceva un edificio importante per una città priva di tracce medievali, qual è Foggia. A determinarne il progressivo degrado fu, più che il tempo, l'incuria degli uomini.
L'arco d'ingresso |
Il palazzo sorgeva all’esterno della porta arpana, all’estremo limite settentrionale del Piano delle Fosse. nel rione “delle quattro corsee”. Adiacente alla caserma c’era (e c'è ancora) vico Aquila, nome importante perché proprio su di esso si fonda la teoria che attribuisce a Federico II la paternità del palazzo.
Questo, infatti, veniva anche denominato “Taverna dell’Aquila”, forse perché parte dell'edificio (probabilmente proprio quella ubicata nell'omonimo vico) era adibita a punto di ristoro ed alloggio. Gli storici argomentano che l’aquila doveva essere sicuramente quella sveva e presumibilmente doveva adornare l’ingresso del palazzo. Altrimenti — asseriscono — il vico avrebbe dovuto chiamarsi per intero “vico taverna dell'aquila” e non solo “dell'aquila”. La denominazione, insomma, sottolineerebbe l’importanza dell’uccello rapace, simbolo fridericiano
La teoria è senz'altro cavillosa, anche perché manca ogni altro riferimento storico e documentale sull’origine del palazzo.
Sta di fatto, comunque, che, come narrano le cronache dell'epoca, la costruzione era molto bella e caratteristica, soprattutto per il portale, il porticato interno, le ampie arcate delle camerate e la cisterna. L’elemento architettonico più suggestivo era il grande sperone che sporgeva da uno dei lati. Anche se dovette subire successivi rimaneggiamenti, questi elementi sono indizi piuttosto precisi sulla fattura medievale della caserma.
Il pozzo |
Brandelli di storia, di cui non restano che tre malinconici archi che andrebbero in qualche modo preservati e “spiegati” alla cittadinanza, nell’attesa che ulteriori elementi vengano a convalidare oppure a smentire definitivamente la paternità fridericiana dell’edificio.
Più o meno per le medesime ragioni è andato distrutto un altro gioiello attribuito all'imperatore, la “Pianara”, una costruzione fortificata che sorgeva a qualche centinaio di metri dalla caserma, in via Manfredonia, dov’è attualmente sito un deposito di legname.
Costruito quale casino di caccia o quale avamposto fortificato, la “Pianara” era collegato alla caserma di cavalleria da un passaggio segreto, sotterraneo, che continuava fino a giungere nell’interno della città.
Lo splendido palazzo fu duramente colpito dalle bombe, nel corso della seconda guerra mondiale. Si trovava, infatti, proprio accanto ai binari della stazione ferroviaria, il più ricercato bersaglio delle “fortezze volanti”.
Quello che non fecero gli americani, lo portarono a compimento, purtroppo. i foggiani: le pietre della Pianara contribuirono inopinatamente alla ricostruzione delle case, anch’esse semidistrutte dai bombardamenti, che sorgevano nelle sue adiacenze.
E così si persero due tasselli fondamentali del mosaico della storia cittadina. Gli archi, piccolissime vestigia di un passato cosi grande, fanno adesso “brutta” mostra di se stessi, a vico Cappuccini, dubbiosi del loro stesso destino: saranno demoliti completamente o si penserà, in qualche modo, a farli rivivere quali testimonianze del passato e, perché no, esempi di uno scempio incredibile e doloroso?
Geppe Inserra
Commenti