Porcili mediatici e libertà di opinione (di Geppe Inserra)

Commentando i commenti (alcuni dei quali effettivamente al di sopra delle righe) al recente post di Lettere Meridiane sull'ennesimo intoppo a danno del Gino Lisa, Maurizio De Tullio accusa il blog di star diventando un "porcile mediatico" e il sottoscritto di non moderare la discussione come si converrebbe.
L'argomento è serio e merita una risposta ponderata. Premetto che diversamente dalle policy di Google e della piattaforma Blogger (che è quella utilizzata da Lettere Meridiane) sulla pagina Facebook - così come nei gruppi di cui non si è amministratori -  non è possibile un filtro preventivo dei contenuti che vengono postati, e di cui restano responsabili in ogni caso gli autori.
La sola possibilità concessa agli amministratori delle pagine e dei gruppi è quella di cancellarli o di limitarne la visione all'autore e ai suoi amici.
Non nascondo che assai spesso non condivido neanche un po' la forma e la sostanza dei commenti e non di rado succede che quei commenti siano pesanti o addirittura offensivi verso di me.
Il punto è che contengono opinioni. Dovrei censurarle semplicemente perché sono diverse dalle mie o perché vengono espresse in una forma che fa a pugni con il galateo o perché mi insultano? A volte mi è successo di dover cancellare commenti ma solo quando hanno travalicato i limiti della decenza.
Valutare quelli del buon gusto, dell'opportunità e della buona creanza non mi compete.


La libertà di opinione è un bene intangibile e va difeso a tutti i costi, a maggior ragione quando si tratta di un blog che ha tra i suoi obiettivi principali quello di stimolare la circolazione delle idee, la discussione e il confronto delle opinioni. Anche di quelle espresse, per dirla con Umberto Eco, dallo scemo del villaggio.
Tempo fa destò sensazione la dura presa di posizione del grande e compianto filosofo e semiologo bolognese sui danni provocati dal social, che accusò di aver dato diritto di parola "a legioni di imbecilli che prima parlavano soltanto al bar dopo un bicchiere di vino" aggiungendo che "il dramma di Internet è di aver promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità."
Eco si scagliava contro chi propala notizie false e bufale e contro chi alimenta la cosiddetta "sindrome del complotto." Posso capirla. Ma tesi di Eco, così come quella di De Tullio, mi sembra viziate da un certo aristocratismo intellettuale.
Come ha giustamente osservato Gianluca Nicoletti replicando ad Eco, "è finita purtroppo l'epoca delle fortezze inespugnabili in cui la verità era custodita dai suoi sacerdoti. Oggi la verità va difesa in ogni anfratto, farlo costa fatica, gratifica molto meno, ma soprattutto richiede capacità di combattimento all'arma bianca: non si produce pensiero nella cultura digitale se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille della forza. "
Sarà una idea forse ingenua, forse sbagliata, ma credo che il libero scambio delle opinioni rappresenti un mezzo per avvicinarsi alla verità. E perciò va difeso.
Geppe Inserra

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