Quella esasperata tendenza foggiana a contrapporsi e litigare (di Geppe Inserra)
Se il pallone e quel che vi ruota attorno è lo specchio di una città (e quanto è vero, soprattutto a Foggia...), gli incidenti che hanno costretto l'arbitro a sospendere l'innocua amichevole che i satanelli stavano disputando nel ritiro di Castel di Sangro e la società a cancellare gli altri incontri precampionato in programma, non possono essere derubricati a semplici episodi di inciviltà e di teppismo sportivo. Se non altro dal punto di vista statistico: gli annali del calcio sono pieni zeppi di partite interrotte per incidenti esplosi tra tifosi di opposte fazioni, ma dev'essere stata la prima volta, o giù di lì, che a sfidarsi con mortaretti, petardi, e fumogeni sono stati tifosi che avrebbe dovuto essere accomunati dalla passione per la stessa squadra.
La mia personale impressione è che il Foggia e l'amore per la squadra rossonera in questa brutta storia c'entrino poco. C'entra, invece, un modo d'essere, una certa mentalità foggiana che non appartiene soltanto ai tifosi ma alla città tutta.
Parlo di quella costante, inquietante, esasperata tendenza a dividersi e a litigare su tutto quanto sia possibile, compresi quei valori, quelle bandiere (come il Foggia, ma lo stesso discorso vale per l'aeroporto Gino Lisa, per la stazione ferroviaria, e via dicendo) che per definizione dovrebbero accomunare, anziché dividere e contrapporre.
L'orrendo ed esecrabile spettacolo che i foggiani hanno messo in scena a Castel di Sangro si ripete quotidianamente nei gruppi del social network in cui si parla e si discute non del Foggia, ma di Foggia, dei suoi problemi.
Se le parole fossero mortaretti, le esplosioni virtuali del social farebbero impallidire quelle reali che hanno infastidito i timpani dei giocatori e dei direttori di gara in Abruzzo.
Pare che il contrasto tra i club organizzati della Curva Sud e della Curva Nord nasca da una disputa di natura, per così dire, ideologica: gli uni sono a favore della tessera del tifoso (e di conseguenza prendono parte alle trasferte), gli altri no. Trattandosi di un'amichevole (che per giunta coincideva con la prima uscita del Foggia promosso in B...) non erano richiesti speciali pass per assistervi, sicché era la prima volta che i tifosi delle due curve venivano a contatto fuori casa, e tanto è bastato per trasformare il campo della cittadina abruzzese in una sorta di quadrato di boxe, e per spegnere il sorriso di quanti si apprestavano a festeggiare il ritorno del Foggia nella serie cadetta.
Un'altra occasione perduta. Come le tante, altre occasioni immolate sull'altare di quella esasperazione delle differenze che sembra essere la vera ed occulta palla di piombo al piede di una città che vorrebbe innalzarsi, e volare.
Che ciò accada pure sul versante di quella fede rossonera che, per definizione, dovrebbe accomunare l'intera comunità civile foggiana deve far attentamente riflettere. In un certo senso, nessuno può chiamarsi fuori da quanto è successo sabato scorso, in terra abruzzese.
Geppe Inserra
La mia personale impressione è che il Foggia e l'amore per la squadra rossonera in questa brutta storia c'entrino poco. C'entra, invece, un modo d'essere, una certa mentalità foggiana che non appartiene soltanto ai tifosi ma alla città tutta.
Parlo di quella costante, inquietante, esasperata tendenza a dividersi e a litigare su tutto quanto sia possibile, compresi quei valori, quelle bandiere (come il Foggia, ma lo stesso discorso vale per l'aeroporto Gino Lisa, per la stazione ferroviaria, e via dicendo) che per definizione dovrebbero accomunare, anziché dividere e contrapporre.
L'orrendo ed esecrabile spettacolo che i foggiani hanno messo in scena a Castel di Sangro si ripete quotidianamente nei gruppi del social network in cui si parla e si discute non del Foggia, ma di Foggia, dei suoi problemi.
Se le parole fossero mortaretti, le esplosioni virtuali del social farebbero impallidire quelle reali che hanno infastidito i timpani dei giocatori e dei direttori di gara in Abruzzo.
Pare che il contrasto tra i club organizzati della Curva Sud e della Curva Nord nasca da una disputa di natura, per così dire, ideologica: gli uni sono a favore della tessera del tifoso (e di conseguenza prendono parte alle trasferte), gli altri no. Trattandosi di un'amichevole (che per giunta coincideva con la prima uscita del Foggia promosso in B...) non erano richiesti speciali pass per assistervi, sicché era la prima volta che i tifosi delle due curve venivano a contatto fuori casa, e tanto è bastato per trasformare il campo della cittadina abruzzese in una sorta di quadrato di boxe, e per spegnere il sorriso di quanti si apprestavano a festeggiare il ritorno del Foggia nella serie cadetta.
Un'altra occasione perduta. Come le tante, altre occasioni immolate sull'altare di quella esasperazione delle differenze che sembra essere la vera ed occulta palla di piombo al piede di una città che vorrebbe innalzarsi, e volare.
Che ciò accada pure sul versante di quella fede rossonera che, per definizione, dovrebbe accomunare l'intera comunità civile foggiana deve far attentamente riflettere. In un certo senso, nessuno può chiamarsi fuori da quanto è successo sabato scorso, in terra abruzzese.
Geppe Inserra
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