Don Tonino Intiso: "La rabbia farà esplodere la ribellione dei poveri”
Non ho alcuna nostalgia del partito cattolico nel quale, d'altra parte, non ho mai militato. Ma allo stesso modo credo che i cattolici non possano disimpegnarsi dalla politica intesa come esercizio civico (dell'essere cittadino), e che per la stessa ragione non possano cedere alle lusinghe dell'antipolitica e del qualunquismo.
Non credo si possa essere buoni cristiani sposando le tesi di quanti non vogliono riconoscere il diritto di essere cittadini italiani a tutti i bambini che nascono in Italia. E allo stesso modo, non credo si possa essere buoni cristiani adorando il dio danaro, quel capitalismo finanziario che detta tempi e regole al mondo dell'economia e del lavoro. Soprattutto in un momento in cui Papa Francesco restituisce centralità e pregnanza "religiosa" a grandi questioni come la dignità del lavoro, il rispetto della persona, la custodie e la tutela dell'ambiente.
E allora, cosa significa, oggi, essere un buon cristiano? Vi suggerisco una utile lettura. Ecco quanto don Tonino Intiso, all'epoca segretario di quell'indimenticabile pastore di anime che è stato mons. Giuseppe Lenotti, arcivescovo di Foggia scriveva sulla sua quotidiana esperienza di ascolto dei tanti disoccupati disperati che bussavano alla porta della Curia per chiedere aiuto. L'articolo è uscito nel 1975, sul periodico cattolico Il Nuovo Risveglio, diretto da Gaetano Matrella.
Buona lettura (G.I.)
Mi serviva solo per scrivervi dei nomi con l'indirizzo, l'età ed una richiesta.
Dietro ogni nome c'è una storia in genere drammatica, una storia di rifiuti, di promesse non mantenute, di speranze deluse, di diritti conculcati, di povertà, di emarginazione.
Sbagliando porta, o meglio, trovata chiusa la porta dello Ufficio di Collocamento, molti approdavano alla segreteria del Vescovo con la speranza, quasi sempre vana, che accadesse il miracolo.
100, 150, 200... ed il numero è in crescendo perché si continua a credere che solo con le «spinte» è possibile trovare un posto di lavoro; e questa credenza viene alimentata perché si sente dire spesso: «...Sono stato a presentare una domanda a....... e mi hanno detto che è necessaria una spinta, perciò sono venuto!»
È una situazione veramente imbarazzante e disagevole: impotente, essere stimato e creduto onnipotente!
È una situazione che interpella in maniera inquietante me personalmente, tutta la comunità ecclesiale e «tutti» i responsabili della «cosa pubblica» a qualunque partito o ideologia essi appartengano, perché l'UOMO viene prima ed è al di sopra di ogni partito o ideologia.
Mi si dirà che non è un fenomeno nuovo ed io rispondo che ciò è grave, perché significa che nulla è cambiato se non nel fatto di aver tamponato alcune cose, di aver creato nuovi bisogni e di aver provocato nuove situazioni abnormi, che certamente a qualcuno fanno comodo. Il politico e l’evangelizzatore non sono dei benefattori, ma i servitori dei fratelli!
Ecco perché nasce spontanea la domanda: a cosa e a chi servono i disoccupati o sottoccupati?
Servono a stabilizzare uno scambio di «ruoli»: questi servono a consolidare il potere, mentre il potere dovrebbe essere a servizio di questi.
Troppo forte e duro questo giudizio?
Ed allora è necessario rispondere ad alcune domande. A caso apro ia pagina del 19 maggio 1575: «Padre, per entrare al.... mi hanno chiesto un milione, ma io non l’ho!». Chiedo: «Ci sono o non ci sono dei posti di lavoro? oppure, come mai escono sempre dei posti alla vigilia di ogni elezione?»
L'Università, l’Aeritalia ed altri possibili insediamenti industriali, il rilancio dell’Agricoltura ecc. non vengono realizzati per oggettive difficoltà, o per mancato impegno di «tutta» la locale classe politica di Capitanata, compreso il disinteresse della Comunità ecclesiale?
La «spartitizione» dei posti di lavoro è una favola o una realtà?
I concorsi-burla sono fantasie di malpensanti o verità?
In una parola: il clientelismo esiste o non esiste? ed il clientelismo non è forse alimentato dalla disoccupazione?
Se ogni cittadino ha diritto al lavoro, il primo dovere di chi gestisce la cosa pubblica è quello di creare posti di lavoro, senza che per tale posto di lavoro un uomo o una donna si prostituiscano con la propria persona o col denaro o ideologicamente o con un perenne grazie che sa di schiavitù!
Che la molla nel gestire il potere siano interessi immediati e personali, e non più ideali, è possibile riscontrarlo nei discorsi e negli scritti dei politici: parole, tante parole, parole incomprensibili, ingiurie reciproche, gara nei telegrammi e nei manifesti, ognuno con un «foglietto del venerdì» al servizio con l'immancabile foto, segno del «personaggio» che si è sostituito alla «persona »... ed il «personaggio» per rimanere tale deve rimanere a galla a tutti i costi e con qualsiasi mezzo...!
Ma ciò che è più tragico in tutta questa situazione è il silenzio delle comunità ecclesiali!
Evangelizzare i poveri significa anche impedire che siano strumentalizzati dai potenti e con tutti i mezzi, almeno con la denuncia.
Oggi le diocesi vengono sollecitate a studiare il documento della CEI su «Evangelizzazione e promozione umana».
È l’occasione più propizia per fare un severo esame di coscienza e rispondere, prima che a questionari di indagine, a quanti, poveri ed emarginati, ci interpellano!
tonino intiso
Non credo si possa essere buoni cristiani sposando le tesi di quanti non vogliono riconoscere il diritto di essere cittadini italiani a tutti i bambini che nascono in Italia. E allo stesso modo, non credo si possa essere buoni cristiani adorando il dio danaro, quel capitalismo finanziario che detta tempi e regole al mondo dell'economia e del lavoro. Soprattutto in un momento in cui Papa Francesco restituisce centralità e pregnanza "religiosa" a grandi questioni come la dignità del lavoro, il rispetto della persona, la custodie e la tutela dell'ambiente.
E allora, cosa significa, oggi, essere un buon cristiano? Vi suggerisco una utile lettura. Ecco quanto don Tonino Intiso, all'epoca segretario di quell'indimenticabile pastore di anime che è stato mons. Giuseppe Lenotti, arcivescovo di Foggia scriveva sulla sua quotidiana esperienza di ascolto dei tanti disoccupati disperati che bussavano alla porta della Curia per chiedere aiuto. L'articolo è uscito nel 1975, sul periodico cattolico Il Nuovo Risveglio, diretto da Gaetano Matrella.
Buona lettura (G.I.)
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La rabbia farà esplodere la ribellione dei “poveri”
Ho tra le mani una vecchia agenda, la sfoglio e scopro che essa non mi serviva per segnare gli impegni del Vescovo o scrivere il diario per tramandare ai posteri la storia della segreteria vescovile di questi anni, né per rileggere, compiaciuto, nella mia vecchiaia il tempo della giovinezza vissuto per i fratelli...!Mi serviva solo per scrivervi dei nomi con l'indirizzo, l'età ed una richiesta.
Dietro ogni nome c'è una storia in genere drammatica, una storia di rifiuti, di promesse non mantenute, di speranze deluse, di diritti conculcati, di povertà, di emarginazione.
Sbagliando porta, o meglio, trovata chiusa la porta dello Ufficio di Collocamento, molti approdavano alla segreteria del Vescovo con la speranza, quasi sempre vana, che accadesse il miracolo.
100, 150, 200... ed il numero è in crescendo perché si continua a credere che solo con le «spinte» è possibile trovare un posto di lavoro; e questa credenza viene alimentata perché si sente dire spesso: «...Sono stato a presentare una domanda a....... e mi hanno detto che è necessaria una spinta, perciò sono venuto!»
È una situazione veramente imbarazzante e disagevole: impotente, essere stimato e creduto onnipotente!
È una situazione che interpella in maniera inquietante me personalmente, tutta la comunità ecclesiale e «tutti» i responsabili della «cosa pubblica» a qualunque partito o ideologia essi appartengano, perché l'UOMO viene prima ed è al di sopra di ogni partito o ideologia.
Mi si dirà che non è un fenomeno nuovo ed io rispondo che ciò è grave, perché significa che nulla è cambiato se non nel fatto di aver tamponato alcune cose, di aver creato nuovi bisogni e di aver provocato nuove situazioni abnormi, che certamente a qualcuno fanno comodo. Il politico e l’evangelizzatore non sono dei benefattori, ma i servitori dei fratelli!
Ecco perché nasce spontanea la domanda: a cosa e a chi servono i disoccupati o sottoccupati?
Servono a stabilizzare uno scambio di «ruoli»: questi servono a consolidare il potere, mentre il potere dovrebbe essere a servizio di questi.
Troppo forte e duro questo giudizio?
Ed allora è necessario rispondere ad alcune domande. A caso apro ia pagina del 19 maggio 1575: «Padre, per entrare al.... mi hanno chiesto un milione, ma io non l’ho!». Chiedo: «Ci sono o non ci sono dei posti di lavoro? oppure, come mai escono sempre dei posti alla vigilia di ogni elezione?»
L'Università, l’Aeritalia ed altri possibili insediamenti industriali, il rilancio dell’Agricoltura ecc. non vengono realizzati per oggettive difficoltà, o per mancato impegno di «tutta» la locale classe politica di Capitanata, compreso il disinteresse della Comunità ecclesiale?
La «spartitizione» dei posti di lavoro è una favola o una realtà?
I concorsi-burla sono fantasie di malpensanti o verità?
In una parola: il clientelismo esiste o non esiste? ed il clientelismo non è forse alimentato dalla disoccupazione?
Se ogni cittadino ha diritto al lavoro, il primo dovere di chi gestisce la cosa pubblica è quello di creare posti di lavoro, senza che per tale posto di lavoro un uomo o una donna si prostituiscano con la propria persona o col denaro o ideologicamente o con un perenne grazie che sa di schiavitù!
Che la molla nel gestire il potere siano interessi immediati e personali, e non più ideali, è possibile riscontrarlo nei discorsi e negli scritti dei politici: parole, tante parole, parole incomprensibili, ingiurie reciproche, gara nei telegrammi e nei manifesti, ognuno con un «foglietto del venerdì» al servizio con l'immancabile foto, segno del «personaggio» che si è sostituito alla «persona »... ed il «personaggio» per rimanere tale deve rimanere a galla a tutti i costi e con qualsiasi mezzo...!
Ma ciò che è più tragico in tutta questa situazione è il silenzio delle comunità ecclesiali!
Evangelizzare i poveri significa anche impedire che siano strumentalizzati dai potenti e con tutti i mezzi, almeno con la denuncia.
Oggi le diocesi vengono sollecitate a studiare il documento della CEI su «Evangelizzazione e promozione umana».
È l’occasione più propizia per fare un severo esame di coscienza e rispondere, prima che a questionari di indagine, a quanti, poveri ed emarginati, ci interpellano!
tonino intiso
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