Cinemadessai | Il cinema contro la mafia
OGGI
Alessandro Di Robilant è uno degli autori più interessanti e meno valorizzati del cinema italiano. Il suo ultimo film, Mauro c’ha da fare, una delle commedia più riuscite ed intelligenti degli ultimi anni, è stato presentato con successo alla ultima edizione del (compianto) Festival del Cinema Indipendente di Foggia, dove venne utilizzato anche per l’originale gemellaggio tra il festival e i centri per l’impiego della provincia di Foggia.
Particolarmente attento ai temi della denuncia sociale, il regista si caratterizza soprattutto per il suo rifiuto della sintassi e delle furbizie tipiche della fiction televisiva, che sta diventando purtroppo una sorta di spartiacque. Chi rinuncia a fare i film “come vuole la tv” viene inesorabilmente emarginato.
Stasera su Tv2000, alle 21.05, il suo film più noto, Il giudice ragazzino, uscito nel 1994, di cui Alessandro firmò anche la sceneggiatura, mentre il soggetto era di Nando Dalla Chiesa. Racconta, con notevole impegno civile, la storia del sostituto procuratore Rosario Livatino (Giulio Scarpati) e delle sue indagini sulla sua mafia nella zona siciliana compresa tra Agrigento e Canicattì. Di Robilant approfondisce lo spessore umano di Livatino, raccontando anche la tenera relazione che ebbe con l’avvocata Angela Guarneri (Sabrina Ferilli), il cui studio legale difendeva i mafiosi.
Il giudice sarà assassinato dalla mafia, dopo che aver firmato i mandati di cattura nei confronti dei più pericolosi boss della famiglie della zona. Un film coraggioso, e fuori dagli schemi convenzionali dei film sulla mafia e sulla magistratura. Da non perdere.
Il film conquistò il Premio "L'angelo azzurro" al Festival di Berlino, mentre Giulio Scarpati ottenne il premio quale Miglior attore protagonista ai David di Donatello.
DOMANI
Marco Tullio Giordana è tra i registi italiani più attenti alle istanze del cinema civile. Per giunta, ha una spiccata predilezione per un certo tipo di personaggio: il ribelle, l’eretico che paga con il proprio sacrificio personale il cantare fuori dal coro.
Dopo aver raccontato Pier Paolo Pasolini nel 1995 nel film Pasolini, un delitto italiano, Giordana si cimenta, cinque anni più tardi, ne I cento passi, con un altro ribelle, vittima di un altro delitto eccellente: Peppino Impastato, il giornalista che dalla sua “radio libera” attacca e prende in giro la mafia, in particolare il boss Tano Badalamenti, denunciando i suoi atti criminali.
Rispetto ai film di genere, I cento passi contiene un’importante variazione sul tema, soffermandosi in modo particolare sullo sforzo che Peppino Impastato deve condurre per rompere definitivamente con l’ambiente e l’humus mafioso di cui la sua famiglia è intrisa, e che lo porterà a non percorrere mai i fatidici cento passi che separano la sua abitazione da quella del boss. Impastato pagherà con la sua vita la scelta di andare controcorrente.
«Questo è un film sulla mafia, appartiene al genere - scrive Giordana nelle note di regia -. È anche un film sull'energia, sulla voglia di costruire, sull'immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato guardare il cielo e sfidare il mondo nell'illusione di cambiarlo. È un film sul conflitto familiare, sull'amore e la disillusione, sulla vergogna di appartenere allo stesso sangue. È un film su ciò che di buono i ragazzi del '68 sono riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista, ma questo non riguarda solo i siciliani, molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza.»
Grande merito del film è di aver portato sotto i riflettori della pubblica opinione un delitto che era rimasto praticamente inosservato, anche perché si verificò in concomitanza con il delitto Moro.
La pellicola consacrò Luigi Lo Cascio, che interpreta Peppino Impastato e che si aggiudicò il David di Donatello. Robusto il resto del cast: Luigi Maria Burruano è Luigi Impastato, Lucia Sardo interpreta, elicia Bartolotta, Paolo Briguglia è Giovanni Impastato, Tony Sperandeo indossa i panni di Gaetano Badalamenti.
«Giordana, che cita Le mani sulla città di Rosi e abbonda in canzoni d'epoca, evita ogni retorica concentrandosi giustamente sulla dimensione famigliare. Il padre che non capisce e non può capire la ribellione del figlio, che vola in America per cercare una via d'uscita; la madre che lo difende in segreto; gli "zii" mafiosi che da bambino lo tenevano sulle ginocchia e oggi lo blandiscono e minacciano insieme. Per un'assurda coincidenza, alla sua morte Impastato non fece notizia. Chissà che questo film non entri nella leggenda.», scrisse Fabio Ferzetti, su Il Messaggero. Fu un buon profeta.
Il film conquistò una valanga di premi, leggendaria la canzone I cento passi dei Modena City Ramblers che si ascolta sui titoli di coda.
Un film da vedere e rivedere. Domani sera, alle 21.20 su RaiMovie.
Alessandro Di Robilant è uno degli autori più interessanti e meno valorizzati del cinema italiano. Il suo ultimo film, Mauro c’ha da fare, una delle commedia più riuscite ed intelligenti degli ultimi anni, è stato presentato con successo alla ultima edizione del (compianto) Festival del Cinema Indipendente di Foggia, dove venne utilizzato anche per l’originale gemellaggio tra il festival e i centri per l’impiego della provincia di Foggia.
Particolarmente attento ai temi della denuncia sociale, il regista si caratterizza soprattutto per il suo rifiuto della sintassi e delle furbizie tipiche della fiction televisiva, che sta diventando purtroppo una sorta di spartiacque. Chi rinuncia a fare i film “come vuole la tv” viene inesorabilmente emarginato.
Stasera su Tv2000, alle 21.05, il suo film più noto, Il giudice ragazzino, uscito nel 1994, di cui Alessandro firmò anche la sceneggiatura, mentre il soggetto era di Nando Dalla Chiesa. Racconta, con notevole impegno civile, la storia del sostituto procuratore Rosario Livatino (Giulio Scarpati) e delle sue indagini sulla sua mafia nella zona siciliana compresa tra Agrigento e Canicattì. Di Robilant approfondisce lo spessore umano di Livatino, raccontando anche la tenera relazione che ebbe con l’avvocata Angela Guarneri (Sabrina Ferilli), il cui studio legale difendeva i mafiosi.
Il giudice sarà assassinato dalla mafia, dopo che aver firmato i mandati di cattura nei confronti dei più pericolosi boss della famiglie della zona. Un film coraggioso, e fuori dagli schemi convenzionali dei film sulla mafia e sulla magistratura. Da non perdere.
Il film conquistò il Premio "L'angelo azzurro" al Festival di Berlino, mentre Giulio Scarpati ottenne il premio quale Miglior attore protagonista ai David di Donatello.
DOMANI
Marco Tullio Giordana è tra i registi italiani più attenti alle istanze del cinema civile. Per giunta, ha una spiccata predilezione per un certo tipo di personaggio: il ribelle, l’eretico che paga con il proprio sacrificio personale il cantare fuori dal coro.
Dopo aver raccontato Pier Paolo Pasolini nel 1995 nel film Pasolini, un delitto italiano, Giordana si cimenta, cinque anni più tardi, ne I cento passi, con un altro ribelle, vittima di un altro delitto eccellente: Peppino Impastato, il giornalista che dalla sua “radio libera” attacca e prende in giro la mafia, in particolare il boss Tano Badalamenti, denunciando i suoi atti criminali.
Rispetto ai film di genere, I cento passi contiene un’importante variazione sul tema, soffermandosi in modo particolare sullo sforzo che Peppino Impastato deve condurre per rompere definitivamente con l’ambiente e l’humus mafioso di cui la sua famiglia è intrisa, e che lo porterà a non percorrere mai i fatidici cento passi che separano la sua abitazione da quella del boss. Impastato pagherà con la sua vita la scelta di andare controcorrente.
«Questo è un film sulla mafia, appartiene al genere - scrive Giordana nelle note di regia -. È anche un film sull'energia, sulla voglia di costruire, sull'immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato guardare il cielo e sfidare il mondo nell'illusione di cambiarlo. È un film sul conflitto familiare, sull'amore e la disillusione, sulla vergogna di appartenere allo stesso sangue. È un film su ciò che di buono i ragazzi del '68 sono riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista, ma questo non riguarda solo i siciliani, molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza.»
Grande merito del film è di aver portato sotto i riflettori della pubblica opinione un delitto che era rimasto praticamente inosservato, anche perché si verificò in concomitanza con il delitto Moro.
La pellicola consacrò Luigi Lo Cascio, che interpreta Peppino Impastato e che si aggiudicò il David di Donatello. Robusto il resto del cast: Luigi Maria Burruano è Luigi Impastato, Lucia Sardo interpreta, elicia Bartolotta, Paolo Briguglia è Giovanni Impastato, Tony Sperandeo indossa i panni di Gaetano Badalamenti.
«Giordana, che cita Le mani sulla città di Rosi e abbonda in canzoni d'epoca, evita ogni retorica concentrandosi giustamente sulla dimensione famigliare. Il padre che non capisce e non può capire la ribellione del figlio, che vola in America per cercare una via d'uscita; la madre che lo difende in segreto; gli "zii" mafiosi che da bambino lo tenevano sulle ginocchia e oggi lo blandiscono e minacciano insieme. Per un'assurda coincidenza, alla sua morte Impastato non fece notizia. Chissà che questo film non entri nella leggenda.», scrisse Fabio Ferzetti, su Il Messaggero. Fu un buon profeta.
Il film conquistò una valanga di premi, leggendaria la canzone I cento passi dei Modena City Ramblers che si ascolta sui titoli di coda.
Un film da vedere e rivedere. Domani sera, alle 21.20 su RaiMovie.
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