Cinemadessai | Grande cinema di notte con "Cane di paglia" e "In grazia di Dio"
OGGI
Cane di Paglia è uno dei film più belli e più discussi di Sam Peckinpah, da molti critici ritenuto il suo capolavoro. Certamente è quello che meglio mette in evidenza la concezione della vita e dei rapporti umani del regista americano, che nel film vengono dominati dal caos e dalla violenza della vita quotidiana. Superbo ed indimenticabile Dustin Hoffman che indossa i panni di un giovane e mite matematico americano, David Summer, che si trasferisce con sua moglie, la bella e giovane Amy (Susan George) in Inghilterra, nella casa natale della donna, per completare i suoi studi in cosmologia.
Le cose si complicano quando il professore assume, per riparare il tetto, l’ex fidanzato di sua moglie, che assieme ad i suoi compari prende ad infastidire la donna ed assume un atteggiamento tracotante nei confronti di David.
Sarà un crescendo di violenza che toccherà il culmine quando il mite studioso, assediato da un branco di abitanti violenti ed ubriachi, supererà definitivamente la sua indole pacifica, e reagirà in modo inatteso e spiazzante.
La tesi di Peckinpah è che l’istinto all’autodifesa fa parte dell’essenza primordiale degli individui e che anche un cane di paglia può trasformarsi un un essere aggressivo e violento. Primo film non western girato dal regista americano, soprannominato Bloody Sam per la frequente rappresentazione della violenza nella sue opere, Cane di paglia fu al centro di aspre polemiche e fu accusato di fascismo e misoginia (a causa di alcuni atteggiamenti di eccessiva civetteria assunti dalla moglie di David), accuse che gravano su quasi tutta l'opera del regista, e che mi permetto di non condividere. Se da un lato non c’è dubbio che la violenza costituisca la cifra stilistica di Peckinpah, essa è coerente con una visione della società e della civiltà, discutibile ed opinabile finché si vuole, ma espressa con rara efficacia stilistica. Alle 00.45 di domani, su RaiMovie.
Da segnalare anche, sempre stanotte, all'1.10 su Rai 2 l'ultimo film di Edoardo Winspeare, In grazia di Dio, ritenuto tra i più interessanti realizzati dal regista salentino, che detiene il record di essere stato il primo autore italiano a prendere parte al Sundance Festival, il più importante festival di cinema indipendente del mondo, con l'indimenticabile Sangue Vivo.
In grazia di Dio rappresenta in un certo senso un ritorno alle origini, ad una certa idea di cinema "duro e puro" che ha visto in Winspeare un interprete rigoroso e coerente. Selezionato per partecipare alla 64ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino nella sezione "Panorama", il film è una tipica produzione fatta in casa: interpretato da attori non professionisti (la protagonista è la moglie di Winspeare, Celeste Casciaro, la coprotagonista la figlia di quest'ultima Laura Licchetta, il principale interprete maschile il socio del regista Gustavo Caputo), è ambientale nel Salento.
Racconta la storia di una famiglia di fasonisti (piccole aziende che producono capi d'abbigliamento per conto di grandi marchi) costretta dalla crisi economica a chiudere i battenti. Il fratello decide così di emigrare, le due sorelle tornano alla casa paterna. Una sogna di tornare a fare l'attrice, l'altra, per non essere sommersa dai debiti, decide di lavorare la terra.
Quella che appare come una costrizione, ben presto si rivelerà essere l'inizio di una catarsi che porterà le protagoniste a riconsiderare il vero senso della vita e le loro relazioni affettive.
"È la rivelazione delle cose fondamentali della vita di una persona - ha scritto Winspeare nelle note di regia - : la bellezza della creazione, la scoperta del bene, la meraviglia, la gratitudine per essere sulla Terra, il senso di comunità, la comprensione del dolore e anche del male, la soddisfazione per il proprio lavoro e, soprattutto, l'amore che ci lega alle nostre relazioni come a tutti gli abitanti della Terra. "
È un film intriso di realismo, ma un realismo poetico che se da un lato racconta con aspra crudezza la crisi economica e i suoi spietati meccanismi, dall'altra indica possibile vie di speranza e di riscatto.
DOMANI
Perfetto intreccio tra noir e action movie, Heat - La sfida è il primo film in cui due leggende viventi come Al Pacino e Roberto De Niro si trovano faccia a faccia, anzi l’uno contro l’altro, nella più classica delle contrapposizioni cinematografiche: lo sbirro contro il bandito. Per la verità, i due avevano lavorato insieme anche ne Il Padrino II, ma in questa pellicola non erano mai comparsi nella stessa scena. Pacino e De Niro sono le due gemme in un cast stellare, anche per il resto, che vede impegnati anche attori della statura di Jon Voight, Val Kilmer, Ashley Judd ed una giovanissima Natalie Portman.
Scritto e diretto da Michael Mann, il film si ispira ad un celebre classico del noir francese, Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide girato da Jean-Pierre Melville nel 1966.
La storia è la più tipica - o forse sarebbe meglio dire archetipica - dei film del genere: Vincent Hanna (Al Pacino) è uno dei migliori segugi della polizia, e viene incaricato di catturare il rapinatore Neil McCauley (Robert De Niro) dopo che la sua banda, durante un assalto a un furgone portavalori, aveva ucciso i tre agenti di scorta.
Mann è abilissimo a tessere ed intrecciare, attorno alla storia principale, i fili delle storie individuali dei diversi personaggi, e le sottostorie che si dipanano all’interno della banda, soprattutto a causa della rottura che si verifica tra McCauley e Waingro (Kevin Gage), il più giovane dei componenti della banda.
Il film racconta il lungo ed inevitabile avvicinamento tra il cacciatore e la preda, fino alla sfida finale, che svela, nonostante la contrapposizione dei ruoli tra i due, un rapporto di stima reciproca e di virile amicizia.
Costata 60 milioni di dollari, la pellicola ne ha incassati 120 nelle sale di tutto il mondo, e 67 soltanto in quelle statunitensi.
Ha scritto di Heat - La sfida FilmTv: “Centosettanta minuti di tensione profonda e dettagliata, occhi e storie che si raccontano una comune disperata precarietà. Fino a trasformare una classica sfida cinematografica in un affresco umano tristissimo, esausto, disilluso.”
Un film da non perdere. Domani, alle 21.15, su Nove.
Cane di Paglia è uno dei film più belli e più discussi di Sam Peckinpah, da molti critici ritenuto il suo capolavoro. Certamente è quello che meglio mette in evidenza la concezione della vita e dei rapporti umani del regista americano, che nel film vengono dominati dal caos e dalla violenza della vita quotidiana. Superbo ed indimenticabile Dustin Hoffman che indossa i panni di un giovane e mite matematico americano, David Summer, che si trasferisce con sua moglie, la bella e giovane Amy (Susan George) in Inghilterra, nella casa natale della donna, per completare i suoi studi in cosmologia.
Le cose si complicano quando il professore assume, per riparare il tetto, l’ex fidanzato di sua moglie, che assieme ad i suoi compari prende ad infastidire la donna ed assume un atteggiamento tracotante nei confronti di David.
Sarà un crescendo di violenza che toccherà il culmine quando il mite studioso, assediato da un branco di abitanti violenti ed ubriachi, supererà definitivamente la sua indole pacifica, e reagirà in modo inatteso e spiazzante.
La tesi di Peckinpah è che l’istinto all’autodifesa fa parte dell’essenza primordiale degli individui e che anche un cane di paglia può trasformarsi un un essere aggressivo e violento. Primo film non western girato dal regista americano, soprannominato Bloody Sam per la frequente rappresentazione della violenza nella sue opere, Cane di paglia fu al centro di aspre polemiche e fu accusato di fascismo e misoginia (a causa di alcuni atteggiamenti di eccessiva civetteria assunti dalla moglie di David), accuse che gravano su quasi tutta l'opera del regista, e che mi permetto di non condividere. Se da un lato non c’è dubbio che la violenza costituisca la cifra stilistica di Peckinpah, essa è coerente con una visione della società e della civiltà, discutibile ed opinabile finché si vuole, ma espressa con rara efficacia stilistica. Alle 00.45 di domani, su RaiMovie.
Da segnalare anche, sempre stanotte, all'1.10 su Rai 2 l'ultimo film di Edoardo Winspeare, In grazia di Dio, ritenuto tra i più interessanti realizzati dal regista salentino, che detiene il record di essere stato il primo autore italiano a prendere parte al Sundance Festival, il più importante festival di cinema indipendente del mondo, con l'indimenticabile Sangue Vivo.
In grazia di Dio rappresenta in un certo senso un ritorno alle origini, ad una certa idea di cinema "duro e puro" che ha visto in Winspeare un interprete rigoroso e coerente. Selezionato per partecipare alla 64ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino nella sezione "Panorama", il film è una tipica produzione fatta in casa: interpretato da attori non professionisti (la protagonista è la moglie di Winspeare, Celeste Casciaro, la coprotagonista la figlia di quest'ultima Laura Licchetta, il principale interprete maschile il socio del regista Gustavo Caputo), è ambientale nel Salento.
Racconta la storia di una famiglia di fasonisti (piccole aziende che producono capi d'abbigliamento per conto di grandi marchi) costretta dalla crisi economica a chiudere i battenti. Il fratello decide così di emigrare, le due sorelle tornano alla casa paterna. Una sogna di tornare a fare l'attrice, l'altra, per non essere sommersa dai debiti, decide di lavorare la terra.
Quella che appare come una costrizione, ben presto si rivelerà essere l'inizio di una catarsi che porterà le protagoniste a riconsiderare il vero senso della vita e le loro relazioni affettive.
"È la rivelazione delle cose fondamentali della vita di una persona - ha scritto Winspeare nelle note di regia - : la bellezza della creazione, la scoperta del bene, la meraviglia, la gratitudine per essere sulla Terra, il senso di comunità, la comprensione del dolore e anche del male, la soddisfazione per il proprio lavoro e, soprattutto, l'amore che ci lega alle nostre relazioni come a tutti gli abitanti della Terra. "
È un film intriso di realismo, ma un realismo poetico che se da un lato racconta con aspra crudezza la crisi economica e i suoi spietati meccanismi, dall'altra indica possibile vie di speranza e di riscatto.
DOMANI
Perfetto intreccio tra noir e action movie, Heat - La sfida è il primo film in cui due leggende viventi come Al Pacino e Roberto De Niro si trovano faccia a faccia, anzi l’uno contro l’altro, nella più classica delle contrapposizioni cinematografiche: lo sbirro contro il bandito. Per la verità, i due avevano lavorato insieme anche ne Il Padrino II, ma in questa pellicola non erano mai comparsi nella stessa scena. Pacino e De Niro sono le due gemme in un cast stellare, anche per il resto, che vede impegnati anche attori della statura di Jon Voight, Val Kilmer, Ashley Judd ed una giovanissima Natalie Portman.
Scritto e diretto da Michael Mann, il film si ispira ad un celebre classico del noir francese, Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide girato da Jean-Pierre Melville nel 1966.
La storia è la più tipica - o forse sarebbe meglio dire archetipica - dei film del genere: Vincent Hanna (Al Pacino) è uno dei migliori segugi della polizia, e viene incaricato di catturare il rapinatore Neil McCauley (Robert De Niro) dopo che la sua banda, durante un assalto a un furgone portavalori, aveva ucciso i tre agenti di scorta.
Mann è abilissimo a tessere ed intrecciare, attorno alla storia principale, i fili delle storie individuali dei diversi personaggi, e le sottostorie che si dipanano all’interno della banda, soprattutto a causa della rottura che si verifica tra McCauley e Waingro (Kevin Gage), il più giovane dei componenti della banda.
Il film racconta il lungo ed inevitabile avvicinamento tra il cacciatore e la preda, fino alla sfida finale, che svela, nonostante la contrapposizione dei ruoli tra i due, un rapporto di stima reciproca e di virile amicizia.
Costata 60 milioni di dollari, la pellicola ne ha incassati 120 nelle sale di tutto il mondo, e 67 soltanto in quelle statunitensi.
Ha scritto di Heat - La sfida FilmTv: “Centosettanta minuti di tensione profonda e dettagliata, occhi e storie che si raccontano una comune disperata precarietà. Fino a trasformare una classica sfida cinematografica in un affresco umano tristissimo, esausto, disilluso.”
Un film da non perdere. Domani, alle 21.15, su Nove.
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