Cinemadessai | Pulp fiction, e niente fu come prima
STASERA
Niente fu come prima, dopo Pulp Fiction. Quentin Tarantino riscrisse tempi e metriche del film d’azione. Irruppe sula scena di Hollywood con un fragore e una potenza rivoluzionaria e visionaria, che raramente s’erano viste prime.
E si ebbe subito l’impressione che era nato un classico, uno di quei film da vedere e rivedere, e che ogni volta si lascia vedere come se fosse la prima.
Pulp Fiction intreccia diverse storie, applicando alla vicenda la tecnica della cronologia frammentata, che rappresenta uno dei "marchi di fabbrica" di Tarantino.
Il plot parte e si sviluppa da situazioni classiche: un pugile che deve perdere un incontro truccato ma lo vince e lo scagnozzo del boss che deve portare a cena la moglie del boss senza "toccarla”: da qui si generano una serie di errori che porteranno a situazioni estreme.
“Una delle cose che preferisco nel raccontare storie come faccio io - dirà Tarantino a proposito di Pulp Fiction -, è dare forti emozioni: lasciare che il pubblico si rilassi, si diverta e poi all'improvviso… boom!, voglio trasportarli improvvisamente in un altro film.”
Il cast è stellare, ed assorbì buona parte del budget a disposizione: John Travolta (le cui quotazioni erano in ribasso, e che venne rilanciato dal film), Samuel L. Jackson, Uma Thurman (che venne consacrata dalla splendida interpretazione, che le fruttò anche una nomination all’Oscar), Bruce Willis e Tim Roth.
Samuel L. Jackson definì il lavoro con Quentin Tarantino come “qualcosa di assolutamente straordinario” e disse di considerare il regista come “un'enciclopedia del cinema vivente”.
Il film si aggiudicò la Palma d'oro al festival di Cannes del 1994 e permise a Tarantino e Roger Avary di ottenere il premio per la miglior sceneggiatura originale agli Oscar del 1995. Assolutamente imperdibile. Stasera, alle 21.15, su TvCielo.
DOMANI
Dopo il successo di Per un pugno di dollari e Per qualche Dollaro in più, per Sergio Leone era difficilissimo ripetersi. E invece ci riesce, che meglio non si potrebbe, nell’ultimo capitolo della trilogia del dollaro: Il buono, il brutto e il cattivo. Secondo Quentin Tarantino, si tratta di una delle pellicole più belle di tutti i tempi. Di certo, il celeberrimo “triello” finale che oppone i tre protagonisti è materia di studio nelle scuole di cinema, per la perfezione formale delle inquadrature, per la maggior parte giocate su primi e primissimi piani, e per il montaggio.
Ancora una volta Leone sfida le convenzioni del cinema western, e le riscrive. Demistifica la violenza gratuita e fine a se stessa che anima i tre protagonisti, denuncia la brutalità della guerra di secessione, mettendo in discussione i capisaldi stessi del sogno americano (critica che vedrà le sue massime espressioni in C’era una volta il West e C’era una volta in America)
Un film indimenticabile, in cui i protagonisti danno il meglio di sè. Clint Eastwood (il Buono) è un biondo cacciatore di taglie, che cattura ripetutamente Tuco, (il Brutto, Eli Wallach) un bandito, per rimetterlo in libertà e poter incassare nuovamente la taglia. Il giochino non sfugge a Sentenza (Lee Van Cleef, il Cattivo), sergente dell’esercito unionista che a sua volta dà la caccia a un certo Jackson, soldato confederato scomparso con la cassa del reggimento, contenente 200.000 dollari.
La caccia al tesoro costituisce il leit motiv del film, e vedrà i tre protagonisti rincorrersi continuamente, fino al già ricordato, famosissimo triello finale, la cui drammaticità è esaltata dalla musica di Ennio Morricone.
Molta bella ed efficace, anche per la carica pacifista che lo sorregge, la parte dedicata alla guerra, con il capitano nordista (magistralmente interpretato da Aldo Giuffrè) che stufo della violenza e della morte che lo circonda, vorrebbe far saltare il ponte, al centro di una lunga e cruenta battaglia tra i due eserciti, per salvare la vita ai suoi uomini. Verrà accontentato dal Biondo e da Tuco.
Alla sua uscita, il film divise la critica (che si è successivamente ricreduta), ma il pubblicò decretò uno straordinario successo.
In una intervista Leone disse che all’interno di ciascuno dei tre personaggi c’è qualcosa di autobiografico: "Nel mio mondo, sono gli anarchici i personaggi più veri. Li conosco meglio perché le mie idee sono più vicine alle loro. Io sono fatto di tutti e tre. Sentenza non ha anima, è un professionista nel più banale senso del termine. Come un robot. Non è questo il caso degli altri due personaggi. Considerando il lato metodico e cauto del mio carattere, sono simile al Biondo: ma la mia profonda simpatia andrà sempre dalla parte di Tuco... sa essere toccante con tutta quella tenerezza e umanità ferita. Ma Tuco è anche una creatura tutto istinto, un bastardo, un vagabondo.”
Domani sera, su RaiMovie, alle 21.20. Come per ogni film di Sergio Leone, un imperdibile gioiello.
Niente fu come prima, dopo Pulp Fiction. Quentin Tarantino riscrisse tempi e metriche del film d’azione. Irruppe sula scena di Hollywood con un fragore e una potenza rivoluzionaria e visionaria, che raramente s’erano viste prime.
E si ebbe subito l’impressione che era nato un classico, uno di quei film da vedere e rivedere, e che ogni volta si lascia vedere come se fosse la prima.
Pulp Fiction intreccia diverse storie, applicando alla vicenda la tecnica della cronologia frammentata, che rappresenta uno dei "marchi di fabbrica" di Tarantino.
Il plot parte e si sviluppa da situazioni classiche: un pugile che deve perdere un incontro truccato ma lo vince e lo scagnozzo del boss che deve portare a cena la moglie del boss senza "toccarla”: da qui si generano una serie di errori che porteranno a situazioni estreme.
“Una delle cose che preferisco nel raccontare storie come faccio io - dirà Tarantino a proposito di Pulp Fiction -, è dare forti emozioni: lasciare che il pubblico si rilassi, si diverta e poi all'improvviso… boom!, voglio trasportarli improvvisamente in un altro film.”
Il cast è stellare, ed assorbì buona parte del budget a disposizione: John Travolta (le cui quotazioni erano in ribasso, e che venne rilanciato dal film), Samuel L. Jackson, Uma Thurman (che venne consacrata dalla splendida interpretazione, che le fruttò anche una nomination all’Oscar), Bruce Willis e Tim Roth.
Samuel L. Jackson definì il lavoro con Quentin Tarantino come “qualcosa di assolutamente straordinario” e disse di considerare il regista come “un'enciclopedia del cinema vivente”.
Il film si aggiudicò la Palma d'oro al festival di Cannes del 1994 e permise a Tarantino e Roger Avary di ottenere il premio per la miglior sceneggiatura originale agli Oscar del 1995. Assolutamente imperdibile. Stasera, alle 21.15, su TvCielo.
DOMANI
Dopo il successo di Per un pugno di dollari e Per qualche Dollaro in più, per Sergio Leone era difficilissimo ripetersi. E invece ci riesce, che meglio non si potrebbe, nell’ultimo capitolo della trilogia del dollaro: Il buono, il brutto e il cattivo. Secondo Quentin Tarantino, si tratta di una delle pellicole più belle di tutti i tempi. Di certo, il celeberrimo “triello” finale che oppone i tre protagonisti è materia di studio nelle scuole di cinema, per la perfezione formale delle inquadrature, per la maggior parte giocate su primi e primissimi piani, e per il montaggio.
Ancora una volta Leone sfida le convenzioni del cinema western, e le riscrive. Demistifica la violenza gratuita e fine a se stessa che anima i tre protagonisti, denuncia la brutalità della guerra di secessione, mettendo in discussione i capisaldi stessi del sogno americano (critica che vedrà le sue massime espressioni in C’era una volta il West e C’era una volta in America)
Un film indimenticabile, in cui i protagonisti danno il meglio di sè. Clint Eastwood (il Buono) è un biondo cacciatore di taglie, che cattura ripetutamente Tuco, (il Brutto, Eli Wallach) un bandito, per rimetterlo in libertà e poter incassare nuovamente la taglia. Il giochino non sfugge a Sentenza (Lee Van Cleef, il Cattivo), sergente dell’esercito unionista che a sua volta dà la caccia a un certo Jackson, soldato confederato scomparso con la cassa del reggimento, contenente 200.000 dollari.
La caccia al tesoro costituisce il leit motiv del film, e vedrà i tre protagonisti rincorrersi continuamente, fino al già ricordato, famosissimo triello finale, la cui drammaticità è esaltata dalla musica di Ennio Morricone.
Molta bella ed efficace, anche per la carica pacifista che lo sorregge, la parte dedicata alla guerra, con il capitano nordista (magistralmente interpretato da Aldo Giuffrè) che stufo della violenza e della morte che lo circonda, vorrebbe far saltare il ponte, al centro di una lunga e cruenta battaglia tra i due eserciti, per salvare la vita ai suoi uomini. Verrà accontentato dal Biondo e da Tuco.
Alla sua uscita, il film divise la critica (che si è successivamente ricreduta), ma il pubblicò decretò uno straordinario successo.
In una intervista Leone disse che all’interno di ciascuno dei tre personaggi c’è qualcosa di autobiografico: "Nel mio mondo, sono gli anarchici i personaggi più veri. Li conosco meglio perché le mie idee sono più vicine alle loro. Io sono fatto di tutti e tre. Sentenza non ha anima, è un professionista nel più banale senso del termine. Come un robot. Non è questo il caso degli altri due personaggi. Considerando il lato metodico e cauto del mio carattere, sono simile al Biondo: ma la mia profonda simpatia andrà sempre dalla parte di Tuco... sa essere toccante con tutta quella tenerezza e umanità ferita. Ma Tuco è anche una creatura tutto istinto, un bastardo, un vagabondo.”
Domani sera, su RaiMovie, alle 21.20. Come per ogni film di Sergio Leone, un imperdibile gioiello.
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