Cinemadessai | Il grande Lebowsky, il cult che più cult non si può

OGGI
Prendete  una storia bizzarra, un attore (Jeff Bridges) che la interpreta in modo sublime, un paio di autori che conoscono a menadito ogni più piccolo ingranaggio dello spettacolo cinematografico,  e il cult movie è servito. L'impresa è riuscita alla grande a Joel ed Ethan Coen formalmente regista e produttore (in realtà hanno curato insieme la regia) di uno dei cult più grandi e più citati di tutti i tempi: Il grande Lebosky, in onda su Italia 1 alle 0.35 della notte tra domani e dopodomani.
Scatenato, eccessivo, politicamente scorretto, pieno zeppo di trovate che avvincono lo spettatore dal primo all'ultimo fotogramma, sorretto da una sceneggiatura che rappresenta in se stessa un manuale di scrittura cinematografica (anche questa firmata, come il soggetto, dai fratelli Coen),
il film racconta la storia di Jeffrey Lebowski, detto Drugo (Dude nella versione originale), un fannullone che vivacchia senza troppi problemi tra partite di bowling con gli amici Walter e Donny, fumate di marijuana e grandi bevute di White Russian.
Fino a quando nella sua vita non irrompono due sgherri, che lo aggrediscono scambiandolo per un miliardario suo omonimo, picchiandolo brutalmente e rovinandogli un tappeto, cui Drugo tiene molto, al punto che decide di farselo risarcire dal suo facoltoso omonimo: viene così coinvolto in un'intricata serie di vicende che lo invischiano, suo malgrado, in rapimenti e riscatti, in compagnia di artisti pazzoidi e giocatori di bowling che si credono delle divinità.
Cast stellare: danno man forte a Jeff Bridges, John Goodman, Steve Buscemi, David Huddleston, Julianne Moore, John Turturro e Ben Gazzara.
Il mondo e la concezione della vita di Lebowski sono diventati dopo l'uscita del film tema di saggi e di articoli anche di natura scientifica, comprese le migliori tecniche di preparazione del White Russian. A Louisville e in altre città americane, si svolge annualmente il Lebowski Fest, con visioni collettive della pellicola, concerti, dibattiti. Insomma, un vero e proprio oggetto di culto. Da vedere e rivedere, ogni volta che si può.
DOMANI
Ma perché i buoni film vengono messi in onda dalla Rai ad orari impossibili? Chi ha sparso la voce che i cinefili son tutti nottambuli ed insonni? Data anche l'atmosfera natalizia, avrebbe meritato una collocazione migliore in palinsesto Racconto di Natale, capolavoro del francese Arnaud Desplechin. E invece Rai2 lo propone domani notte, all'1.15.

Il rapporto tra il cinema francese e il teatro (o, più precisamente la teatralizzazione) è stato sempre intenso, e proficuo. Dopo il suo L'amour fou (film che racconta la crisi di un rapporto coniugale durante la preparazione della messinscena dell'Andromaca di Racine), che uscì nel 1969, Jacques Rivette affermò che "Tutti i film sono sul teatro, non esiste altro soggetto". Considerazione che si addice perfettamente, come ricorda Giulio Sangiorgio su FilmTv, a Racconto di Natale, il cui palcoscenico è però la famiglia "regina delle finzioni, luogo in cui gli affetti sono costretti, in cui i sentimenti si dibattono tra il sincero e il coatto, indecisi tra l'amore dovuto e quello sentito, il detto e il non detto."
Quest'atmosfera avvolge e contagia il film, intenso come non mai, tormentato e coinvolgente, a tratti disturbante. Junon (una grandissima Catherine Deneuve, Premio speciale al 61º Festival di Cannes) apprende di essere stata colpita da un tumore. Per salvarsi, avrebbe bisogno di un trapianto di midollo d'osseo. In occasione del Natale, convoca la sua famiglia, nella speranza di poter trovare un donatore compatibile tra i suoi figli. Ma esplodono tanti conflitti rimasti per anni inespressi e sepolti. C'è molta teatralizzazione nella recitazione corale, ottimamente diretta da Desplechin, merito anche di un cast d'eccellenza che vede Catherine Deneuve assieme a Jean-Paul Roussillon, Anne Consigny e Mathieu Amalric.
Un grande, grandissimo film.


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