Villone: "La riforma Renzi-Boschi rottama la Costituzione nata dalla Resistenza"

Dissenso e democrazia sono le parole che più frequentemente risuonano nel Salone del Tribunale di Palazzo Dogana che ospita l’ennesimo appuntamento della campagna referendaria dei no. Una democrazia che, in nome della governabilità e della velocità, normalizza il dissenso, comprimendoli tra i tempi contingentati di approvazione delle leggi e clausole di supremazia dove vince sempre lo Stato centrale sulle autonomie e i territorio, può ancora dirsi una democrazia come quella nata dalla Resistenza? E si può forse capire meglio perché l’Anpi abbia fin dall'inizio detto no.
È questione di sostanza e non soltanto di riforma. Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale all'Università degli Studi di Napoli non ha dubbi “La riforma Renzi-Boschi rottama la Costituzione nata dalla Resistenza. Riduce i poteri del parlamento, spostando gli assi a favore del governo, senza che ciò venga bilanciato da un incremento della democrazia diretta. E, come se non bastasse, la riforma produce anche un notevole alleggerimento della democrazia partecipata.”
Il docente partenopeo boccia la riforma su tutta la linea, sottolineandone i vizi d’origine: “È una proposta che nasce male perché  approvata da parlamento delegittimato, sostenuta da un premier non votato, senza essere mai stata parte del programma di un partito o di una coalizione e infine licenziata solo grazie a quella maggioranza dichiarata incostituzionale dalla Corte.”
Il prof. Villone ha anche da dire circa il merito. “I 48 milioni di risparmio derivanti dall’abolizione del Senato elettivo sono ben poca cosa. Basti ricordare che spendiamo 60 milioni al giorno soltanto per le spese militari per la difesa. È per quanto riguarda la presunta accelerazione nell’iter di approvazione delle leggi, è utile rammentare la super velocità con cui sono stati approvati provvedimenti come la legge Fornero o lodo Alfano.  Non è il bicameralismo che rallenta o accelera l'iter delle leggi, ma la volontà politica. Viene il dubbio che si voglia scientemente indebolire il parlamento.”

In proposito, il prof. Villone si è soffermato sul voto a data certa (norma con cui il Governo può esigere dal Parlamento l’esame di una legge in tempi ridotti e prefissati) e sulla clausola di supremazia territoriale (con cui può espropriare le Regioni delle loro competenze, in materie molto delicate come per esempio le grandi opere o l’ambiente). 
“È una clausola che può imbavagliare il dissenso delle comunità locali” ha detto il relatore, sottolineando come “l’impianto complessivo della riforma sembra preludere a una sostanziale  normalizzazione del dissenso parlamentare e sociale. Non andiamo a votare su astruse tecnicalità ma sul tipo di democrazia del Paese. È importante dire no, per riaprire la via alla democrazia e al dissenso. Voglio lasciare ai miei figli un'Italia democratica, almeno come quella in cui ho vissuto io.”
Sul rischio di una democrazia più leggera è intervenuto anche Francesco Bonito, magistrato della Corte di Cassazione che si è, tra l’altro,  soffermato sulla sentenza della Suprema Corte che ha dichiarato incostituzionale la riforma Madia sul pubblico impiego, per la mancata concertazione con le Regioni: “Non ho capito l'insofferenza di certi commentatori. È il segno che al governo la democrazia diffusa non piace. Lo stesso spirito informa la riforma costituzionale, che tende ad accentrare i poteri al governo in nome di una presunta efficienza e rapidità, dimenticando che in Italia la democrazia si è consolidata ed è cresciuta proprio grazie alla Costituzione.”
Secondo Bonito, “quello di Renzi è un disegno scopertamente centralistico. In ogni paese democratico la costituzione unisce. Una costituzione che divide è una contraddizione in termini. E il Senato che legifera senza essere eletto ci porta indietro di cento anni.”

I due relatori sono stati introdotti e presentati da Giovanni Mongelli, già sindaco di Foggia, tornato nell’agone politico proprio in occasione della campagna referendaria: “non è vero che chi vota no è contro il futuro e non è vero che siamo contro il cambiamento. Vogliamo un futuro che non rinneghi il passato. Siamo un'accozzaglia orgogliosa. Che unisce forze che come me hanno deciso di impegnarsi in prima persona. Diciamo no per il futuro dei nostri figli. La Costituzione va scritta da e con tutte le forze in campo. La vittoria dei no ci permetterà di farlo.”

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