L'homo videns foggiano che fa la fila al Giordano (di Maurizio Tardio)

Grazie al complice sostegno di mio padre e alla illuminante organizzazione del preside, negli anni liceali, ho potuto seguire la stagione teatrale del Petruzzelli (e in parte del Piccinni). Ho potuto così assistere agli spettacoli della Fracci, di Gassman e di tanti altri artisti. Ho potuto anche vedere un sontuoso Carmelo Bene in un palloso Amleto.
Ricordo il mio vicino di sedia appisolato per lunghi tratti dello spettacolo, cullato dalla voce  del maestro di Campi Salentina. E ricordo il mio stupore nell’ascoltare il sonnacchioso vicino tessere le lodi  dello spettacolo all’uscita. Aveva seguito poco o nulla, ma nel suo racconto c’era tutta la vivacità provinciale di chi era parte stessa dello spettacolo. Ero stato a seguire Carmelo Bene, pareva leggersi tra le righe del suo racconto, tutto il resto erano dettagli.
Dico questo, caro Geppe, perché contrariamente ai facili entusiasmi di certa stampa e commentatori nostrani, la fila notturna davanti al Teatro Giordano per accaparrarsi un posto per la stagione teatrale, ha poco da spartire con la cultura.
La cultura è svago o impegno?
Lascio in sospeso la risposta, ma a me pare che la cultura foggiana abbia l’accento sbagliato (come quello della lapide inaugurale, prontamente rimossa).
Il Giordano non è il fulcro del risveglio culturale cittadino, ma è solo il contenitore che misura la partecipazione dei foggiani:  tot abbonamenti, tot livello di cultura. La corsa agli abbonamenti non è sinonimo di una cultura delle masse, ma di una cultura ammassata che rischia di trasformarsi in una cultura ammazzata, perché si sta al teatro come si starebbe davanti alla televisione, riproponendo l’immagine di Giovanni Sartori della sostituzione dell'homo sapiens con l'homo videns.
Alle porte del Giordano non bussa la voglia di rinnovamento (che ogni cultura professa), ma la semplice voglia di occupare spazi. L’esserci non più per essere ma per avere. Si tratta di una malsana coniugazione di ausiliari. “Non sono” (un cultore), ma “ho” (un posto). Si applaude alla fine dello spettacolo, anche se magari si è dormito per tutto il tempo. Niente concetti, solo suggestioni, emotività da “testimoni oculari”.
E allora per sentirsi partecipi si occupa un posto in platea; il resto è routine, stanco succedersi di eventi… 
Maurizio Tardio

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