Seconda stazione e alta capacità, un affare ma non per la città (di Lello Saracino)


Fotoritocchi, rendering, mancano i plastici in scala. E poi un confronto serrato tra esperti, opinioni su opinioni, nascita di comitati (il civismo foggiano, lo ammetto, mi sorprende sempre). L’ipotesi di una seconda stazione ferroviaria a Foggia, servente alla linea Bari-Foggia in direzione Napoli e Roma, ha suscitato un dibattito per certi versi originale, montato ben oltre le stanze della politica e della rappresentanza sociale. Da giornalista che ha seguito le politiche di sviluppo territoriale e approfondito la centralità delle infrastrutture quale fattore di competizione e crescita, ammetto che ad oggi le tesi emerse pro nuova stazione non mi convincono. Anzi per certi versi soffrono a mio avviso di una miopia che è propria di uno sguardo provinciale, che palesa scarsa lungimiranza rispetto alle ricadute complessive e rassegnazione rispetto alla capacità di incidere nelle scelte e negli indirizzi di governo. Provo a spiegare.
Qual è l’urgenza che muove alla necessità di una seconda stazione ferroviaria in una città di 150mila abitanti? Senza questa infrastruttura Foggia, la sua provincia, i territori limitrofi che gravitano sul nostro nodo ferroviario per muoversi lungo la dorsale adriatica o appenninica, verrebbero bypassati dai collegamenti verso Roma. Bene, teniamo per un attimo in sospeso questo allarme – o se preferite questo ricatto posto in essere da Fs e Trenitalia - e proviamo a riflettere sul tema più generale della mobilità e dei trasporti nel nostro paese, sul gran parlare che si fa di alta velocità o alta capacità e di come in nome di questi assunti si proceda a dissipazione di ingenti risorse pubbliche, utili spesso ad alimentare economie criminali e devastare i territori.
In Italia i passeggeri dell’alta velocità sono il 5% dell’utenza ferroviaria giornaliera; il restante 95% è composto in gran parte da pendolari, spesso costretti a viaggiare sui treni fatiscenti e sovraffollati, e non sempre in condizioni di sicurezza massima. Qualche altro dato: l’80% dei viaggi in treno avviene tra comuni della stessa provincia o regione, e la distanza media percorsa è di soli 24 chilometri. Soprattutto in territori orograficamente complessi – qual è la provincia di Foggia con le sue zone montane del Preappennino e del Gargano – e caratterizzati da una forte polarizzazione che con i suoi servizi esercita la città capoluogo, non sarebbe forse il caso di reclamare interventi che migliorino la qualità delle strade interne e completino quella rete del treno-tram ipotizzata per la pentapoli? In modo da togliere un gran numero di auto e autobus dall’asfalto, con tutto quello che significa in termini di sicurezza per i cittadini e minor impatto ambientale? Non sarebbe il caso di tagliare il nastro del Centro intermodale di Piazzale Vittorio Veneto, che dovrebbe interconnettere, razionalizzare, integrare le modalità di trasporto dei viaggiatori?
Non meno importante è riflettere sul tema relativo alla governance delle grandi opere, una torta attorno alla quale da sempre si affollano appaltatori, subappaltatori, intermediari, politici, amministratori locali, intraprese mafiose. E’ di luglio la scoperta che la ‘ndrangheta, attraverso imprese prestanome, gestiva i lavori del terzo valico della madre di tutte le grandi opere, la tav che attraverso la Val Susa punta alla Francia. Così attenzionata dal potere politico, così difesa dai manganelli delle forze dell’ordine, eppure così penetrabile dall’interesse mafioso. L’alta velocità ferroviaria, la stessa che un grande esperto di appalti pubblici quale Ivan Cicconi ha definito “furto legalizzato di beni pubblici”. Combinazione perfetta e perversa tra un pubblico e un privato del quale non si distinguono nettamente i confini (pubblico con status privato e spesso privato con capitali pubblici). Una catena che parte con l’affidamento e il pagamento dei lavori progettazione e dove i vantaggi sono tutti del privato mentre i rischi di gestione restano in carico alla collettività. Con tempi mai certi di realizzazione che finiscono col far crescere in maniera esponenziale il valore preventivato dell’opera.
Un esempio quanto mai vicino alle dinamiche che si agitano a Foggia, e lampante di come determinate scelte di addendum in termini di servizi ai cittadini non hanno nulla, ma solo un fine speculativo, è rappresentato dalla stazione dell’alta velocità Mediopadana, realizzata a Reggio Emilia per intercettare treni e passeggeri dell’alta velocità. Anche per aver affidato la progettazione (molto ben pagata) all’archistar Santiago Calatrava, il costo della stazione Mediopadana (la seconda nell’area della città) è passato dai preventivati 15 milioni di euro a 38,8. Alla data dell’inaugurazione (dodici anni dopo le delibere del Comune) erano stati spesi 79 milioni di euro. Risultato tradotto in diritto alla mobilità? Su ogni treno salgono mediamente meno di un ventesimo delle preventivate 2.700 persone, avendo nei piani immaginato quella infrastruttura al servizio di più popolose e operose province. E la gran parte degli spazi per attività commerciali restano ancora desolatamente vuoti.
Noi, che pure Reggio Emilia non siamo, vogliamo una seconda stazione. Evidentemente non ci sono bastate nemmeno le prime esperienze non certo positive attorno alla Bari-Napoli. Nel 2009, quando il progetto assume aspetti esecutivi, il cronoprogramma punta al completamento dell’opera entro il 2020. Si andrà da Bari a Roma in 3 ore, da Foggia a Roma in 2. Grazie soprattutto al raddoppio della linea tra il capoluogo dauno e Caserta. L’inaugurazione dei cantieri nel 2011, ricorda la rivista Strade dell’informazione. Passa un solo anno e l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Moretti, già chiede “un’accelerata”. Nel 2013 il ministro Lupi si mostra ottimista: opere concluse nel 2018. Lo scorso anno nuovo ministro, Del Rio, e nuova stima: fine lavori nel 2024. E intanto, mentre l’opera complessiva, 146 chilometri per 5 miliardi di spesa, si appresta a diventare la più inaugurata della storia, i territori sotto l’influenza della politica hanno provato a stravolgere il percorso per capotiche perforazioni di montagne che allungherebbero all’infinito i tempi (eppure, mentre potenti padrini politici reclamavano altre megastazioni nel deserto). A tutto si è sommato il fallimento di una delle imprese private appaltatrici che lavorava nel tratto Cervaro-Orsara, nonostante committenza pubblica e progetti a molti zeri. Bloccando per oltre un anno i lavori.
Torniamo a Foggia e alla minaccia di veder sfilare via il Pendolino per Roma senza entrare in città. E’ noto come un tempo i treni provenienti da Bari e diretti a Roma erano costretti nella stazione dauna a prolungare la fermata per permettere al locomotore di testa di invertire le posizioni. Si arrivava da sud, si ripartiva verso sud-ovest. Ma è la preistoria dei trasporti su ferro. Oggi i moderni treni Freccia hanno doppia cabina di guida. Il tempo della discesa e della salita dei passeggeri consente al macchinista di percorrere comodamente i cento metri per accomodarsi alla nuova testa treno. Certo c’è la paura del famigerato “baffo”, quel curvone che intercetta la linea per Roma prima di entrare a Foggia, che minaccia di essere strumento del bypass. Eppure lo stesso era stato pensato solo per i treni merci. Così qualcuno, che sia a Cervaro, nella zona industriale o al Salice, vorrebbe realizzare la seconda stazione. Per non creare disturbo al macchinista. Milioni e milioni di euro, in tempi di risorse magre, per svuotare una struttura esistente e renderla periferica – con tutto quella che comporta in termini di degrado urbano – e crearne una ex novo ai margini della città. E le opere per i servizi interni? I collegamenti? Su chi ricadrebbero i costi?
E se poi  non fosse una seconda stazione, se fosse solo una colossale presa in giro? Nessuna megastruttura, ma solo una fermata con un marciapiedi e una pensilina? Foggia merita questo? Un pezzo di ferrovia periferica, deserta e incustodita 23 ore su 24?
Spendere milioni per ridurre di 5 minuti la percorrenza di un treno che impiegherà per Roma due ore, solo al completamento dei lavori di raddoppio della linea. Bypassare una provincia di 600mila abitanti per ridurre di 5 minuti il viaggio ai passeggeri che partono da Bari o Lecce verso la capitale. Ecco, spesso si è discusso e si discute della capacità di rappresentanza che ha il ceto politico foggiano circa scelte e indirizzi dei Governi nazionale e regionale. Se davvero non si è in grado di fare fronte comune rispetto a ipotesi così assurde, anzi direi idiote, come quelle avanzate da FS, ovvero saltare la fermata nel nostro capoluogo, e in alternativa si accettano ipotesi meramente speculative con tutte le distorsioni che comportano, non è proprio il caso di parlare di classe dirigente. Sarà, la seconda stazione, una sconfitta: della logica, del buon governo delle risorse pubbliche, degli interessi infrastrutturali della nostra città. E una vittoria di chi guarda con interesse solo alla partita degli appalti, dei subappalti, delle clientele.
Lello Saracino, giornalista

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