Lo sviluppo? Non interessa più l'opinione pubblica
Il referendum sulle trivelle fa discutere. Paradossalmente più dopo, ad urne chiuse ed a risultato acquisito, che non durante la campagna elettorale, come sarebbe stato lecito ed auspicabile attendersi, perché la democrazia, la discussione, non fanno mai male.
Su Pro Capitanata, Franco Antonucci, per molti anni ingegnere capo del Consorzio Asi di Foggia, persona particolarmente attenta e sensibile ai problemi dello sviluppo, ha pubblicato una nota che suscita parecchie riflessioni.
Mi deprime - scrive Antonucci - il pensiero delle infinite discussioni televisive post-referendarie prossime (talk show a basso costo), ovvero, peggio, su chi ha vinto e chi ha perso, lasciando tali e quali le "questioni energetiche ambientali" generali. Che noia mortale! Parole, parole, liti, liti, solo per prendere il posto dell'uno contro l'altro, senza prospettive reali. Lotte per il cambio della guardia, senza nulla guardare a fondo.
Vorrei per qualche istante, invece, sognare ed immaginare che proprio da parte di chi ha vinto, magari allora per iniziativa dello stesso Governo, partisse, l'iniziativa di un nuovo dibattito, aperto a tutto campo, non solo sulla questione contingente del "controlli" ambientali sul presente e sull'immediato, ma soprattutto sulla fantastica ipotesi di un più generale "progetto di fattibilità" sulla "questione energetica ambientale" nazionale. In un Paese fragile e splendido al tempo stesso.
Mettendo da parte sia gli atteggiamenti estremi degli Ambientalisti, immersi in un anacronistico ritorno alla preistoria (affermazioni apodittiche senza progetto), sia, viceversa, i comportamenti dirigisti del potere costituito sui "livelli economici di prossimità". Troppo spesso assolutamente incongrui, invece, rispetto alle più lunghe prospettive di una Società contemporanea, che, in ogni caso, grazie ad un progresso tecnologico iperbolico, sta entrando in una nuova promessa (o minaccia) di vita.
Sembra che uno degli ostacoli principali alla evoluzione in vista sia, in particolare, rappresentato dal permanere ostinato di una tecnologia pregressa, disordinata - ormai già obsoleta -, che deve prima esaurire le proprie produzioni ed accumuli economici non ancora ammortizzati, lasciando poi eventualmente libere (troppo tardi?) le nuove tecnologie davvero più sostenibili e futuribili. Occorre superare subito questo equivoco. Le evoluzioni necessarie sono più veloci degli egoismi decantati.
Sogno, invece, un nostro "progetto globale", nuovo, coraggioso, che apra al futuro prossimo e lontano, che riequilibri e ribalti le traballanti ed irrazionali situazioni precedenti ancora perduranti. Dopo il "progetto" sogno un "Piano energetico ambientale" tutto nazionale, tutto italiano.
Spazzando via gli interessi dei pochi furbi a vantaggio dei più. In favore, magari, di una nuova civiltà in arrivo - conclude Antonucci.
Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca la posizione di Michele Lauriola, fondatore di Pro Capitanata, anche lui ingegnere: “Dopo l'esito del referendum, bisogna fare Politiche ambientali ed energetiche che siano condivise ben sapendo che la tutela dell'ambiente, del paesaggio, della natura è e deve essere una esigenza di tutti i cittadini."
Sono d’accordo tanto con Antonucci quanto con Lauriola. Ma il problema mi sembra vada cercato anche nella rarefazione della riflessione, della discussione, del confronto sul futuro tout court.
Lettere Meridiane è un blog realizzato con la piattaforma di Google, che consente di misurare con una certa attendibilità la tensione culturale e politica suscitata dai diversi temi. Potete credermi se vi dico che i temi dello sviluppo interessano assai poco l’opinione pubblica.
Di sviluppo, di futuro, non parla ormai più nessuno.
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