Le figurine Panini? Si stampavano a Foggia

Una tra le figurine più ricercate: il bomber
rossonero Nocera, campionato 65-66
di Maurizio De Tullio
Se dici oggi “Panini” a un ragazzino, quasi certamente la sua risposta non potrà che essere  “McDonalds”. Ma se lo avessi detto a un adolescente del 1970, avrebbe certamente risposto “figurine”!
Già, perché per almeno un quarantennio la favola inventata a Modena nel 1961 dai fratelli Benito e Giuseppe Panini è di quelle che ha stregato milioni di ragazzi e varie generazioni di italiani.
Altri tempi, certo, come quando la merenda era a base di pane, burro e zucchero o quando in cambio della promozione a scuola sognavamo la mitica ‘Graziella’ o quando, ancora, la musica si spargeva nell’aria uscendo da uno strano dispositivo chiamato “mangiadischi”.
Per noi ragazzini raccogliere i calciatori delle figurine Panini era quasi un obbligo morale. Non farlo equivaleva finire quasi stigmatizzati. Epiche le giornate alla ricerca spasmodica di quel maledetto Boranga che non ne voleva sapere di uscire. Maledetto portiere! E al suo pari un altro portiere introvabile: il milanista William Vecchi, che non era neppure titolare, sovrastato dalla grandezza del ‘matto’ Cudicini.
E poi quei nomi curiosi che prendevamo in prestito quando si voleva banalizzare qualcuno: “Sei proprio un Tumburus!”. E se facevi autogol era la fine: “Ecco, ci mancava Comunardo Nicolai!”. Ma se eri brillante come Rivera o Mazzola, giocoliere come Pelè o Altafini, goleador come Giggiriva o Nocera non avevi soprannomi: eri quello che eri.
E i nostri eroi, sull’asfalto fresco di via Luigi Sturzo, si chiamavano Pino Rispoli e Franco Montaruli, autentiche macchine da gol ma, soprattutto, capaci di tenere il pallone eternamente attaccato al piede, di fintare a ripetizione prima di esplodere il tiro vincente. Ragazzi destinati a un avvenire da serie A se non avessero scelto di fare altro nella vita. Virtuosi della sfera che un giorno o l’altro pensavamo sarebbero finiti loro su quei magici rettangolini colorati chiamati figurine.
Eppure… Eppure qualcosa lega effettivamente la nostra Foggia a quel mondo, di facce multicolori che ci facevano sognare e arrabbiare, arricchire (di soddisfazioni) e acculturare. Come no, anche acculturare. Oggi Piero Orsi è un pacato bidello del Liceo “Lanza”, ma a quei tempi (metà anni ’60 e fino ai ’70) era l’enciclopedico del quartiere, oltre che “il Presidente” ad honorem di una squadra che c’era solo nelle nostre teste e nelle partitelle per strada ma che ci illudevamo essere qualcosa di maledettamente serio.
E il legame della Panini con Foggia, dov’è? Ci arrivo subito.
Mentre noi le compravamo, le scambiavamo, le incollavamo con acqua e farina, e a volte ci strozzavamo per una ‘Valida’ vista per terra da distanza abissale, beh, a poche centinaia di metri da noi c’era chi le stampava – qui a Foggia e per mezza Italia almeno – e non certo di contrabbando. Eppure all’interno dell’album c’era scritto: “stampato a Modena in via Po”, che c’entrava Foggia?
E invece, almeno per alcuni anni, le mitiche figurine Panini furono stampate proprio (o anche) a Foggia, presso lo stabilimento della tipografia-litografia Leone. Lo ricorda come fosse ieri chi, con altri addetti, era delegata al loro confezionamento: “Ho lavorato una decina di anni presso la tipografia Leone – mi racconta Ada Genovesee fino al 1968, quando mi sono sposata. Per alcuni anni stampammo le famose figurine della Panini di Modena. Era un lavoro massacrante perché occorreva fare tutto a mano. Non era come oggi che è tutto automatizzato. Ricordo che la tipografia stampava solo le figurine mentre l’imbustamento e la stampa dell’album avvenivano altrove, forse a Modena”.
La signora Ada ricorda perfettamente chi si occupava della stampa: “Erano due giovanottoni veneti, mi pare di Castelfranco Veneto, ed erano molto bravi e precisi nel loro lavoro”.
Ciò che non ricorda la signora Ada sono gli anni precisi in cui Leone stampò per la Panini. Ma di sicuro erano gli anni del primo Foggia in serie A, del Mago di Turi, Oronzo Pugliese, e di don Mimì Rosa Rosa.
Naturalmente era un altro calcio ed anche le figurine erano altra cosa da quel che sono oggi. Ma il sogno resta, chiuso nel ricordo di indimenticabili giornate, tra sfide impossibili e ginocchia perennemente incrostate, che diventavano subito passato se una figurina era capace di cambiarti la vita.

Eravamo ragazzi, ed erano gli anni Sessanta.

Commenti

Tommaso Palermo ha detto…
Che piacere leggere, in questo bel contributo, il nome del mio carissimo amico e collaboratore scolastico Pietro Orsi, attualmente in servizio nella scuola dove lavoro: la De Amicis - Altamura. E' sempre l'enciclopedico dell'istituto: conosce a memoria formazioni e partite; milanista da sempre, simpatizza per la Lazio ed è un profondo conoscitore del Festival di Sanremo.

Post popolari in questo blog

Renzo e Lucia alle falde del Gargano

Treno no stop Bari-Roma, un flop o quasi

La Madonna dell'Incoronata, tra storia, leggenda e tradizione (di Francesco Gentile)