Foggia beffata e tradita due volte dalla guerra

La lettera meridiana sul silenzio mantenuto dalla Gazzetta del Mezzogiorno sui tragici bombardamenti del 1943 ha provocato molte vivaci discussioni tra gli amici e i lettori di Lettere Meridiane. Una volta tanto, però, non sono d'accordo con loro. Quel post, infatti, non voleva mettere sotto accusa i giornalisti del quotidiano regionale, né, tanto meno, avanzare il sospetto che più o meno volutamente da parte barese si sia voluto attenuare l'immane portata della tragedia foggiana.
Volevo mostrare come la macchina della propaganda fascista (che controllava tutti, indistintamente, i giornali) tacendo le sempre più frequenti sconfitte che avrebbero portato solo qualche giorno dopo alla caduta del regime e all'armistizio, abbia effettivamente "oscurato" la tragedia foggiana.
Andrebbero investigati con maggiore attenzione i processi dell'informazione, durante e dopo i bombardamenti. La qualità e la quantità delle informazioni furono certamente inadeguati  rispetto alla portata dei fatti. Paradossalmente, furono proprio queste lacune a rendere più facili probabili esagerazioni, come quella delle 22.000 vittime.
Insomma credo che la Gazzetta del Mezzogiorno non parlò dei bombardamenti su Foggia semplicemente perché l'argomento era tabù. Perché non si poteva ammettere che gli alleati terrorizzavano le popolazioni con i loro feroci bombardamenti "strategici". Perché semplicemente dicendolo si sarebbe ottenuto proprio l'effetto cercato dagli alleati (in primis gli inglesi teorici di questo tipo di strategia bellica): il terrore.
Chi restò due volte offesa dallo sporco gioco della guerra fu la popolazione foggiana: uccisa dalle bombe alleate, beffata dal silenzio degli organi di informazione. Anche per questo ricordare è un sacrosanto dovere di memoria e di civiltà.
Ma come era organizzata l'informazione, a Foggia, durante l'era fascista? Il silenzio della Gazzetta fu determinato anche dall'oggettiva difficoltà dei corrispondenti foggiani di inviare alla redazione barese notizie su quanto stava accadendo a Foggia? A questi ed altri  interrogativi risponde Maurizio De Tullio, che ha approfondito la questione, con il suo consueto piglio di cercatore di tracce di memoria. Ecco il suo contributo, come sempre importante.
* * *


Non è stato possibile verificare, dalle pagine de “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 1943 (come degli anni precedenti e successivi), ove fosse ubicata a Foggia la sede dell’ufficio di corrispondenza, perché il ‘colophon’ dell’epoca non era ampio e trasparente come oggi.
Mi sono così avvalso di alcune guide e annuari, nazionali e locali, e, soprattutto, del vivo ricordo di un vecchio giornalista foggiano, Gino d’Angelo – papà del più noto collega Emilio d’Angelo, da anni nelle redazioni RAI, a Roma – che subito dopo la guerra cominciò a muovere i primi passi nel mondo dell’informazione.

Andando per tappe, ho cominciato con la “Guida di Foggia e Provincia”, curata da Alfredo Petti, del 1931-32, che indicava quale ufficio di corrispondenza da Foggia della “Gazzetta” una stanza nell’allora Municipio (e ciò la dice lunga sul grado di… indipendenza del giornalismo), la cui sede era – ripeto: nel 1932 – in piazza Santa Chiara. Corrispondente dal capoluogo era il collega Gino Maffucci. Qualche anno dopo il Comune troverà sede nel nuovo Palazzo di Città, in corso Garibaldi, che tutti ancor oggi ammiriamo.
Ma la notizia più prossima alla data dei bombardamenti del 1943 l’ho trovata nell’Annuario della Stampa Italiana 1937-38, edito a Milano nel novembre del 1937. L’ufficio di corrispondenza della “Gazzetta” a Foggia era ubicato in uno stabile di via Altamura n. 34, a due passi dal centralissimo corso Vittorio Emanuele, che, per la cronaca, subito dopo la guerra prenderà la denominazione di corso Matteotti, per riprendere qualche anno dopo l’attuale e definitiva intestazione.
Gino d’Angelo, che conosceva bene Maffucci, ricorda come la sede fosse proprio lì, tra via Altamura e il Corso, anche se nel 1952, in un’altra Guida locale, quella di Biccari e Loco, la voce che riguarda i giornali locali non menziona il quotidiano barese, sottintendendo con ciò – a ben nove anni dai bombardamenti – l’assenza di un  vero ufficio di corrispondenza. Alla voce relativa ai giornalisti, però, ritroviamo il nome di Gino Maffucci quale unico corrispondente da Foggia della “Gazzetta”. L’indirizzo è certamente quello privato del giornalista, Via De Nisi n. 2.
Ora, traendo le somme e per ritornare alle ragioni per cui la “Gazzetta” non parla dei terribili bombardamenti su Foggia alla data del 23 luglio 1943, non ci sono molti dubbi.
Da un lato il non voler ammettere che le città pugliesi si erano rivelate totalmente vulnerabili, anche a causa del debole sistema di difesa antiaerea organizzato dal Regime e dai tedeschi; soprattutto Foggia, che avrebbe dovuto difendere in maniera ferrea e che invece cadde in modo barbaro proprio nelle giornate del 22 luglio e del 19 agosto (non entro nel merito della polemica sul numero reale dei morti perché – ne ho parlato più volte proprio su LM – quello degli oltre 20.000 è del tutto inventato e che, a mio avviso, proprio perché artefatto e gonfiato non fece ottenere subito a Foggia i finanziamenti che reclamava).
Ma se vogliamo restare sull’atteggiamento del “silenzio totale” tenuto dalla “Gazzetta del Mezzogiorno” nei confronti di Foggia, ciò avvenne anche per i bombardamenti precedenti la giornata del 22 luglio!
Sfogliando l’annata del quotidiano barese conservata presso la Biblioteca Provinciale, si nota come le corrispondenze dalle altre province pugliesi vadano tutte sotto il titolo di “Cronache di Lecce”, “Cronache di Taranto”, “Cronache di Foggia” ecc. Si trattava di 5-6 notizie, in genere brevi, che giornalmente rendicontavano le iniziative del Regime e vari fatti di cronaca. Ciò fino al 22 luglio 1943. Dal giorno dopo, le corrispondenze da Foggia scompaiono per sempre. Non così quelle delle altre province pugliesi. La ‘testatina’ “Cronache di Foggia” torna, striminzita, solo il 12 agosto 1943, cioè 20 giorni dopo le bombe. Ma a seguire sarà sempre a livello discontinuo e sempre con poche notizie.
Cosa significa tutto questo? Che certamente l’ufficio di corrispondenza era stato danneggiato, che i servizi telefonici e postali erano precari e che il corrispondente ufficiale, Gino Maffucci appunto, doveva aver avuto quanto meno dei seri problemi, visto che non perì nei bombardamenti ed era ancora al suo posto nel 1952.
Tutto ciò per dire che cosa? Che sicuramente finché il Regime tenne le mani sull’informazione, questa fece da cassa di risonanza (succede ancora oggi…). Ma il “silenzio” su Foggia fu certamente dovuto anche all’ovvia situazione di inagibilità conseguente alla contingenza degli eventi. Negarlo mi sembra ingenuo.
E una domanda banale: quanti giornalisti rimasero a fare il loro lavoro a Foggia? E quanti fotografi? Non vi pare strano che né gli uni né gli altri abbiano raccontato “in presa diretta” quelle tragiche giornate? Paradossalmente lo fecero in tanti, ma non i giornalisti. E non mi citate Luca Cicolella: aveva 19 anni e viveva a Cerignola…
Cordialmente
 (Maurizio De Tullio)

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