Quando Borgo Croci scrisse una storica pagina di democrazia e di partecipazione

Marco Scarpiello regala dal suo inesauribile archivio due preziose fotografie che documentano una stagione esemplare della vita cittadina, ed uno dei momenti più alti di democrazia e di partecipazione popolare. Le immagini si riferiscono ai lavori di risanamento di Borgo Croci, che hanno rappresentato l’opera pubblica più importante che sia stata realizzata negli ultimi decenni nel capoluogo dauno e,  assieme alla realizzazione del quartiere CEP, che risale agli anni Sessanta, l’intervento più imponente di sempre in materia di edilizia popolare.
Guardo le foto non senza un pizzico di nostalgia, perché ho vissuto quella stagione in prima persona e potete dunque credermi se vi dico che, in quella occasione, la nostra città seppe dare una grande prova di sensibilità e di coesione.
Siamo alla metà degli anni Settanta. Qualche anno prima di quelli in cui la fotografie sono state scattate, che si riferiscono alla realizzazione del progetto. Ma non fu facile arrivare fino al quel punto. Il problema più grande riguardava i tempi e le modalità di attuazione del progetto, perché si trattava di demolire le vecchie case di Mussolini che punteggiavano la zona di Borgo Croci Nord, e che sono ancora presenti lungo via Lucera.
Il problema riguardava i criteri con cui procedere allo sgombero delle palazzine che avrebbero dovuto essere demolite, e alla successiva sistemazione delle famiglie che vi abitavano. Questione non da poco, se tenete conto che numerose famiglie erano composte da anziani, che avrebbero dovuto sradicarsi dal posto in cui erano nati, e trasferirsi per qualche anno in un’altra zona della città.
Ma, se non si fosse proceduto a sgomberare gli alloggi nei tempi previsti, c'era il pericolo concreto che lavori avrebbero conosciuto ritardi più o meno gravi, con il rischio che i costi lievitassero e che l’intero progetto si inceppasse, vanificando gli ingenti finanziamenti che erano giunti all'Istituto Autonomo Case Popolari. È superfluo sottolineare che il progetto non riguardava soltanto i residenti a Borgo Croci, ma anche tante famiglie di senza tetto, che, una volta completati i nuovi alloggi, avrebbero finalmente ottenuto un'abitazione popolare.
La scottante questione venne affrontata con un metodo che la città non avrebbe più sperimentato, ma che in quella occasione dimostrò la maturità dei cittadini foggiani: le decisioni vennero assunte dal basso, coinvolgendo attivamente le famiglie interessate nella discussione sui criteri e sui tempi di realizzazione del progetto, che per forza di cose doveva partire dalla demolizione delle palazzine interessate al risanamento.
Ci fu una generale mobilitazione della politica, degli istituti di partecipazione cittadina, delle strutture ecclesiali che avevano a Candelaro un loro presidio di grande importanza, il Sacro Cuore diretto allora da don Nicola Palmisano, con il supporto di don Michele De Paolis.
Il Sacro Cuore era un’autentica oasi di impegno sociale e di solidarietà. Nei locali parrocchiali era operante una scuola popolare molto frequentata, che si occupava di dare attraversi i corsi Cracis, un diploma di terza media a quanti non avevano completato la scuola dell’obbligo. C’erano un centro di assistenza per i senza tetto, iniziative culturali, un attivo gruppo di Cristiani per il socialismo.
E proprio nella parrocchia salesiana si svolgevano le assemblee popolari, affollatissime e ovviamente infuocate, che discutevano la questione di Borgo Croci. I lavori venivano guidati da Michele Perrone, stimato avvocato, che allora presiedeva il Consiglio di Quartiere Croci e che in quelle occasioni doveva fronteggiare centinaia di partecipanti, e mettere ordine nel confronto.
Non erano ancora nate le circoscrizioni, e i consigli di quartiere erano i primi laboratori di sperimentazione degli istituti di partecipazione e di decentramento. Un ruolo attivo e decisivo nella elaborazione delle diverse soluzioni l’ebbe la sezione del Pci di via Lucera intitolata ad Antonio Gramsci e il cui segretario era mio cognato, Marco Pizzolo.
Naturalmente fu tutt’altro che facile convincere le famiglie residenti che era necessario lasciare le proprie case, soprattutto quelle interessate ai primi lotti della grande operazione di risanamento. Una volta che fossero stati completati i primi alloggi, il disagio si sarebbe attenuato, in quanto le famiglie da far sgomberare nella fase successiva, avrebbero potuto essere almeno in parte, direttamente trasferite ai nuovi alloggi. Invece, la famiglie interessate alle prime demolizioni avrebbero dovuto sobbarcarsi due trasferimenti: la prima volta nelle case parcheggio, la seconda per rientrar nel quartiere d’origine.
L’intesa venne raggiunta, proprio grazie all’intesa partecipazione popolare, agli sforzi congiunti delle istituzioni, del consiglio di quartiere, delle sezioni dei partiti, dei sacerdoti ma soprattutto della gente, che manifestò una grande sensibilità e una grande condivisione.
I lavori finalmente cominciarono. Vi furono ritardi, com’è quasi fisiologico nell’attuazione di interventi del genere, ma alla fine gli alloggi vennero finalmente completati.
Erano un’altra epoca, un’altra politica, un’altra coscienza collettiva, un’altra capacità di affrontare i problemi comuni. Ma la memoria serve proprio a ricordare.  E questa bella pagina della storia cittadina va ricordata ed onorata, perché ci dice non non è vero che a Foggia è andato sempre tutto male e, soprattutto, che non è vero che i foggiani sono apatici e non si impegnano nella soluzione dei problemi della loro città.

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