Ghetto di Rignano, Minervini e Stefano replicano a Emiliano
Come definire la querelle esplosa tra i candidati di
centrosinistra alle primarie regionali pugliesi, dopo la messa in onda del
servizio di Gazebo sul ghetto di Rignano? A dir poco antipatica, perché la
Regione Puglia sta lavorando con serietà e passione per cancellare la vergogna
del ghetto. E forse Zoro avrebbe dovuto occuparsene nel suo reportage, che
resta comunque un buon documento sulle disumane condizioni di lavoro e di vita
cui sono costretti gli immigrati nel Tavoliere.
A dar fuoco alle polveri è stato Michele Emiliano, con due
tweet al vetriolo. Nel primo si legge: #gazebo la vergogna del ghetto di
Rignano: chi se ne deve occupare in Regione? @g_minervini @DarioStefano mi
spiegate cosa accade?”; il secondo è appena un po’ più mite: “ghetto di
Rignano, Incredibile che nulla sia cambiato in tanti anni. @g_minervini
@DarioStefano si faccia subito qualcosa di concreto”. Il problema è che
Emiliano è segretario regionale del Pd, e avrebbe dovuto conoscere il piano
Capo free, ghetto off che vede coinvolta mezza giunta regionale. L’idea era (e
resta) di smantellare del tutto il ghetto, trasferendo quanti vi risiedono
adesso in altre località, più vicine ai luoghi di lavoro in modo da attenuare
anche il problema della mobilità, che rende più facile la vita a caporali e
caponeri. Doveva essere attuato fin dalla scorsa estate, ma non è facile,
perché sono gli stessi immigrati ad essere contrari all’idea del trasferimento.
Non si è fatta attendere la reazione di Guglielmo Minervini,
che tra gli assessori di Vendola è quello che si è maggiormente battuto, in
quanto titolare della delega all’immigrazione, per affrontare il problema: “Ci
abbiamo lavorato tutta la primavera e l'estate. Primi ad affrontare il
problema. Pronti a dire, fin dal primo momento, che sarebbe stato parecchio
difficile e che avevamo (abbiamo!) bisogno dell'aiuto di tutti. Perché quella
non è una vicenda che si risolve con le ruspe o con la bacchetta magica. Quella
è una cosa che si cambia se tutti ci mettiamo in testa che il lavoro nero, lo
sfruttamento della disperazione, sono una macchia per tutti i pugliesi. Alcuni
però, ancora oggi, per fini squisitamente elettorali, non vogliono ammetterlo. Fino
ad insinuare che la Regione se ne è sostanzialmente disinteressata. Quando noi
nel Ghetto ci abbiamo messo la faccia e il cuore. Rischiando di farci male
nell'accenno di una rissa. Vittime di minacce più o meno velate dai caporali
neri, quelli che hanno tutto l'interesse affinché il Ghetto rimanga lì. Il
gioco allo sfascio può far guadagnare qualche voto ma mette in serio pericolo
la riuscita del progetto, la tela fragile e faticosa che in questi mesi siamo
riusciti a costruire. Ne va del bene dei migranti. Ne va della Puglia, ne va di
tutti noi.”
Durissima la replica di Dario Stefano: "Emiliano non
finisci di sorprendermi. Continui a proporti come un cittadino qualunque e
fingi di non sapere dell'esistenza del campo di Rignano, scaricando
responsabilità, come tuo solito, sulla giunta regionale, screditando il tuo
partito e i tuoi assessori. Io a Foggia ho affrontato la piaga del caporalato e
del ghetto di Rignano. E ho anche indicato un obiettivo: la qualificazione
della produzione, applicando il principio della sostenibilità, utilizzando il
marchio prodotti di Puglia, lavorando sulla eticità delle produzioni per
valorizzare il pomodoro foggiano e il lavoro che c'è dietro la sua produzione.
Siamo ancora in tempo perché queste primarie siano un confronto positivo per
migliorare la vita dei pugliesi, e non un esercizio di retorica politica".
In effetti, sarebbe auspicabile che quest’ultimo scorcio
della campagna elettorale per le primarie del 30 novembre venisse utilizzato
per un confronto più pacato e più serrato sui programmi e sulle cose da fare
per non disperdere il patrimonio politico e culturale accumulato dal
centrosinistra pugliese, nei dieci anni del governo Vendola. Proprio a
cominciare dall’attuazione di Capo Free Ghetto off che è una cosa
maledettamente concreta, maledettamente importante, maledettamente difficile.
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