La Cartiera di Foggia fra ricordi di famiglia e morti dolorose

Ricevo e pubblico molto volentieri questa nota di Maurizio De Tullio che ricostruisce, sul filo della memoria, slcuni importanti passaggi della storia della Cartiera di Foggia.
* * *
Il lavoro avviato dalla collega Mara Cinquepalmi sulla Cartiera di Foggia è utile e molto interessante. Da storico dilettante, qual sono, mi hanno colpito maggiormente solo alcune parti del suo racconto, ma non ho difficoltà ad ammettere che quella che meno mi affascina – il racconto delle/sulle donne – sia, invece, la più significativa.
Scrivo, a Mara e a Geppe Inserra, per fatto personale. Ma non solo. Un labile ricordo che tocca la mia famiglia e che – mordendomi le labbra – mi pento di non aver mai approfondito quando mio padre era in vita. Ma, a mia discolpa, c’è il fatto che all’epoca non avevo gli stimoli culturali e la passione per la ricerca che sono nati in età adulta e, comunque, quando mio padre se ne era già andato.
Mio padre Filiberto De Tullio (1914-1990) aveva lavorato alla Cartiera di Foggia per alcuni anni, ma non so dire esattamente quando fu assunto. Presumo che vi entrò anche grazie all’intervento di suo fratello Paolo, personalità allora nota negli ambienti fascisti e, nel dopoguerra, indimenticato esponente della Democrazia Cristiana, della quale fu anche segretario provinciale (e molto altro!).
Ma, a differenza del fratello, mio padre non aveva mai svolto attività politica né, tantomeno, era iscritto al PNF. Sottolineo questo aspetto perché a guerra finita, quando la necessità di ritrovare il  lavoro si fece stringente, cercò di essere riassunto al Poligrafico, senza successo. O meglio: una possibilità vi era, a condizione che si fosse iscritto al Sindacato. Di ciò non me ne parlò mai lui ma mia madre, la quale ricordava sempre con grande amarezza quella sua esclusione. “Per colpa dei comunisti!”, diceva, alludendo, quindi, alla CGIL o a qualche altra organizzazione sindacale di sinistra.

Ammetto che questa versione lascia un po’ perplessi anche se dal racconto di Mara emerge la presenza attiva e qualche responsabilità di una certa Lega che, a quanto pare, faceva il bello e cattivo tempo in tema di assunzioni. Mi viene dunque il sospetto che poteva essere quella Lega il Sindacato cui mia madre faceva riferimento, ma non ho ricordi precisi o prove a sostegno. Forse, dalle carte visionate in Archivio di Stato dalla collega Cinquepalmi, qualche elemento potrebbe chiarire meglio la “mappa” delle organizzazioni attive in quel periodo, soprattutto in relazione al “mercato del lavoro” interno allo stabilimento di via del Mare.
Poi mio padre – essendo già allora un ottimo chitarrista e contrabbassista – per campare si adattò, con altri, a suonare nei tanti locali aperti a Foggia in seguito alla presenza delle truppe alleate. L’anno dopo dovette trasferirsi al Nord, preludio ad una emigrazione ancor più dolorosa. A Verona, dove al tempo del servizio di leva aveva conosciuto una avvenente cassiera – la mia futura mamma – e che sposerà in quello stesso anno, mio padre aveva continuato a lavorare come musicista, con una orchestra che teneva concerti nei night-club del Nord.
Nel 1951 l’altra tappa forzata, la partenza per il Brasile, dove vivevano alcuni parenti di mia madre e dove sono nato io, nel 1958. In quello splendido Paese mio padre continuò la sua apprezzata attività di chitarrista e contrabbassista alternata alla gestione, con mia mamma, di una piccola attività commerciale. La cosa che mi gratifica sempre è che tuttora, a Foggia, sono in tanti a ricordarsi delle magiche dita di Filiberto De Tullio, del suo modo di suonare e di arrangiare la musica, sia essa jazz, blues, brasiliana o quella classica napoletana. E del suo garbo infinito.
I miei tornarono in Italia nel 1966, quando c’era ancora qualche traccia del famoso “boom economico”. Lo fecero – scrivendo una nuova pagina di emigrazione, anche se di ritorno – quando in Brasile le cose non andavano più bene, con una pericolosissima svalutazione della moneta.
Non ho, quindi, difficoltà alcuna a dire che la nostra è sempre stata una famiglia modesta, oltre che sfortunata. Non solo per il dolore della separazione dagli affetti (erano 9 fratelli!), ma anche per il fatto che gli anni trascorsi alla Cartiera da mio padre e gli altri quindici di lavoro svolti in Brasile (sia come musicista che come commerciante), non furono mai riconosciuti – ai fini pensionistici – dall’INPS. Immaginatevi le conseguenti difficoltà quando, nel 1987, ottenemmo lo sfratto da dove abitavamo. La soluzione fu il trasferimento a Lucera dove era più conveniente l’acquisto di una abitazione, in zona 167, grazie anche all’aiuto mio e di mio fratello.
Un’ultima annotazione. Leggendo la nota biografica della collega Cinquepalmi, apprendo che ha scritto anche alcune voci per  www.enciclopediadelledonne.it, un progetto originale e articolato.
Le segnalo allora una personalità femminile foggiana di grande spessore a livello nazionale, con una storia significativa per ricchezza di stimoli e contenuti, ma anche tortuosa e tragica per il suo epilogo, culminato con il suicidio, avvenuto a Roma nel 2009. Tragica come la morte del papà di questo nostro personaggio, ucciso a Foggia il 1° giugno 1960 da un suo dipendente che insisteva nel chiedergli anticipi di stipendio e prestiti, per soddisfare la sua passione per il gioco.
Questa nostra illustre concittadina (invero una “foggiana per caso”) si chiamava Roberta Tatafiore (Foggia, 1943-Roma, 2009), giornalista, traduttrice, sociologa e saggista ma, soprattutto, una delle prime e più importanti femministe italiane. Diresse anche lo storico e prestigioso mensile “Noidonne” e nel 1981 curò un reportage su Foggia, dedicato al lavoro in agricoltura e alla formazione professionale.
Roberta era figlia di Guido Tatafiore (Napoli, 1906-Foggia, 1960), indimenticato direttore generale del Poligrafico dello Stato di Foggia, più volte citato da Mara Cinquepalmi nel suo interessantissimo “Via del Mare”.
A Roberta Tatafiore ho dedicato un’ampia scheda bio-bibliografica nel mio “Dizionario Biografico di Capitanata – 1900/2008”.
Maurizio De Tullio

Commenti

Anonimo ha detto…
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