Per amare Foggia bisogna saperla guardare ad altezza d'occhi
Tra i moltissimi commenti alla lettera meridiana Perché Foggia è bella (ma non ce ne accorgiamo) ce n’è uno che mi ha colpito in modo particolare. È quello di Gino Di Pietro, che mette il contenuto dell’articolo direttamente in relazione con la citazione che campeggia sotto la testata del blog. È una frase tratta dal film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders: "Guardare non è guardare dall'alto, ma ad altezza d'occhi”.
Secondo Gino, i foggiani dovrebbero cominciare a pensare ed agire come Damiel, l’angelo del film, che per amore di Marion decide di farsi uomo, diventando mortale e rinunciando dunque all’eternità. Per fare questo è necessario un ribaltamento della sguardo, della prospettiva. L'angelo si è reso conto che per guardare le cose bisogna prenderne parte. Guardare ad altezza d’occhi.
Nella straordinaria sequenza, la frase citata è inserita in un monologo che si apre con una riflessione sul fiume e sul guado, metafore della decisione del passaggio dallo stato dell’immortalità a quello della finitudine umana.
I due angeli si incontrano. Cassiel interroga Damiel: “Allora?”
La risposta di Damiel è pura, altissima poesia: "Risalirò il fiume. È una vecchia massima umana, sentita spesso, ma che capisco solo oggi: ora o mai. È l'attimo del guado. Ma non ci sarà un'altra riva: c'è solo il guado, finché stiamo dentro il fiume. Avanti: nel guado del tempo, il guado della morte. Noi che non siamo ancora nati, scendiamo dalla torretta: guardare non è guardare dall'alto, ma ad altezza d'occhi. Innanzitutto farò un bagno... Poi mi farò rasare da un barbiere turco, possibilmente. Lui mi massaggerà fino alla punta delle dita; poi mi compro un giornale, me lo leggo fino all’ultima pagina, dai titoli, all’oroscopo. Il primo giorno mi farò solo servire. Chi vuole qualcosa da me lo mando dal vicino, che inciampa sulle mie gambe stese e si scuserà con me, gentilmente. Mi farò urtare, e urtare ancora. Nel locale affollato l’oste mi troverà subito un tavolo libero. Per la strada una macchina si fermerà davanti a me, e il sindaco mi porterà per un tratto. Sarò familiare a tutti, sospetto a nessuno. Non dirò una parola, starò solo a sentire, capirò ogni lingua. Ecco, ecco, così sarà il mio primo giorno."
"Ma nulla di questo sarà vero", gli obietta Cassiel. D'un tratto, una luce passa sul viso di Damiel, un lampo di colore. Cassiel si volta e si accorge che l’altro angelo camminando ha appena lasciato delle impronte sulla terra. Non è più incorporeo, è diventato uomo. Ha attraversato il guado. Sta guardando la cose ad altezza d’occhi.
Gino Di Pietro ha colto con grande sagacia il senso del ragionamento sulla bellezza, sull'amore verso il posto in cui viviamo, che sono possibili soltanto a patto di guardare le cose ad altezza d'occhi.
Quando ho cominciato a scrivere il blog, in un certo senso, ho attraversato un guado. Da una certa idea della professione giornalistica, della equidistanza, della imparzialità, sono arrivato ad uno sguardo diverso alle cose e sulle cose. Ad altezza d’occhi, appunto: che significa non più osservare, ma comprendere le cose, prenderne parte, comprenderle e farsene comprendere. Amarle. Cercare di cambiare, senza rinunciare a farsi cambiare.
Non più articoli, ma lettere. Io che scrivo a te, e tu che rispondi, e io e te che attraverso la comunicazione diventiamo un noi, come diceva Karl Jaspers.
Non so se tutto questo servirà a migliorare il posto in cui viviamo. Io però ci provo.
E adesso, se volete, gustatevi pure la straordinaria sequenza dello straordinario Wim Wenders. (Secondo me, è tra le cose più bella e alta che il cinema abbia mai prodotto)
Secondo Gino, i foggiani dovrebbero cominciare a pensare ed agire come Damiel, l’angelo del film, che per amore di Marion decide di farsi uomo, diventando mortale e rinunciando dunque all’eternità. Per fare questo è necessario un ribaltamento della sguardo, della prospettiva. L'angelo si è reso conto che per guardare le cose bisogna prenderne parte. Guardare ad altezza d’occhi.
Nella straordinaria sequenza, la frase citata è inserita in un monologo che si apre con una riflessione sul fiume e sul guado, metafore della decisione del passaggio dallo stato dell’immortalità a quello della finitudine umana.
I due angeli si incontrano. Cassiel interroga Damiel: “Allora?”
La risposta di Damiel è pura, altissima poesia: "Risalirò il fiume. È una vecchia massima umana, sentita spesso, ma che capisco solo oggi: ora o mai. È l'attimo del guado. Ma non ci sarà un'altra riva: c'è solo il guado, finché stiamo dentro il fiume. Avanti: nel guado del tempo, il guado della morte. Noi che non siamo ancora nati, scendiamo dalla torretta: guardare non è guardare dall'alto, ma ad altezza d'occhi. Innanzitutto farò un bagno... Poi mi farò rasare da un barbiere turco, possibilmente. Lui mi massaggerà fino alla punta delle dita; poi mi compro un giornale, me lo leggo fino all’ultima pagina, dai titoli, all’oroscopo. Il primo giorno mi farò solo servire. Chi vuole qualcosa da me lo mando dal vicino, che inciampa sulle mie gambe stese e si scuserà con me, gentilmente. Mi farò urtare, e urtare ancora. Nel locale affollato l’oste mi troverà subito un tavolo libero. Per la strada una macchina si fermerà davanti a me, e il sindaco mi porterà per un tratto. Sarò familiare a tutti, sospetto a nessuno. Non dirò una parola, starò solo a sentire, capirò ogni lingua. Ecco, ecco, così sarà il mio primo giorno."
"Ma nulla di questo sarà vero", gli obietta Cassiel. D'un tratto, una luce passa sul viso di Damiel, un lampo di colore. Cassiel si volta e si accorge che l’altro angelo camminando ha appena lasciato delle impronte sulla terra. Non è più incorporeo, è diventato uomo. Ha attraversato il guado. Sta guardando la cose ad altezza d’occhi.
Gino Di Pietro ha colto con grande sagacia il senso del ragionamento sulla bellezza, sull'amore verso il posto in cui viviamo, che sono possibili soltanto a patto di guardare le cose ad altezza d'occhi.
Quando ho cominciato a scrivere il blog, in un certo senso, ho attraversato un guado. Da una certa idea della professione giornalistica, della equidistanza, della imparzialità, sono arrivato ad uno sguardo diverso alle cose e sulle cose. Ad altezza d’occhi, appunto: che significa non più osservare, ma comprendere le cose, prenderne parte, comprenderle e farsene comprendere. Amarle. Cercare di cambiare, senza rinunciare a farsi cambiare.
Non più articoli, ma lettere. Io che scrivo a te, e tu che rispondi, e io e te che attraverso la comunicazione diventiamo un noi, come diceva Karl Jaspers.
Non so se tutto questo servirà a migliorare il posto in cui viviamo. Io però ci provo.
E adesso, se volete, gustatevi pure la straordinaria sequenza dello straordinario Wim Wenders. (Secondo me, è tra le cose più bella e alta che il cinema abbia mai prodotto)
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