Il crepuscolo della Taranta
La Notte della Taranta non mi piace più. Da tempo. Perché il Salento non è la Romagna, Melpignano non è Rimini, e la Taranta - Santo Cielo! - non è il liscio, ma il background sta diventando pericolosamente affine.
La Notte della Taranta non mi piace più perché lo spirito primigenio di questa musica dell’anima se n’è andato forse per sempre con Pino Zimba. Perché la notte magica è stata contagiata dalla logica dell’evento a tutti i costi, che alla fine annacqua la cultura autentica e con essa l’identità. Che non fanno brand. Ma sono cultura, identità e basta.
Per questo, per ritrovare le atmosfere della musica popolare pugliese, le sue radici, preferisco Carpino. O san Marco in Lamis. Perché tutto ti puoi inventare, salvo la genuinità. Perché se ci pensi Carpino è la summa della Puglia migliore, da lì puoi vedere la laguna e il mare, restando in mezzo agli ulivi tra gli ulivi, e farti avvolgere dalle melodie - così diverse, così vicine - dei Cantatori del Gargano, di Matteo Salvatore, delle Confraternite di Vico.
Preferisco ristorarmi con l’irripetibile sapore del caciocavallo podolico e di quel certo vino che non è nemmeno doc e che non si chiama come complessi illustri, anzi neanche si chiama. Perché quelli di Carpino da anni si fanno un mazzo così per custodirle, le radici, sapendo, quando è il caso, fare un passo indietro rispetto alle ormai onnipresenti e invasive azioni di marketing territoriale.
A leggere i giornali, a guardare la televisione o a navigare per il web, la Notte della Taranta sembra invece inossidabile. I giudizi sono massicciamente entusiasti, ai limiti dell'orgiastico. Tutti giocati sull'ineffabile logica dei numeri: la riuscita dell’evento pare dipendere dagli scontrini fiscali staccati, più che dalla qualità.
Mi sento decisamente fuori dal coro, finché non trovo un post che racconta l’esperienza personale di Olimpia Dimitri, e svela una Notte della Taranta drasticamente diversa da quella raccontata dai grandi media, che somiglia più a un rave party che non a una festa popolare, con seri problemi di ordine pubblico, di cui giornali e televisioni plaudenti si sono guardati bene dal parlare, perché - si sa - the show must go on.
Poi sul profilo Facebook di Sergio Blasi, che è l’inventore della Notte della Taranta e ancora oggi uno degli organizzatori, compare una nota (molto lucida ed accorata) in cui vengono manifestate più o meno le stesse perplessità: “la Notte della Taranta - scrive Blasi - non mi provoca più l’emozione delle prime volte. Perché mi pare che al “miracolo” che ha riempito anni fa il piazzale degli Agostiniani si vada sostituendo qualcosa di indefinito, di spersonalizzante, confuso. Sugli appassionati e gli spettatori interessati prevale ormai una folla fluttuante che non riesco a ben interpretare. “
Mi colpiscono i commenti, molto assonanti on quanto scritto da Dimitri: “Il concertone, per molti - scrive qualcuno -, è sinonimo di sballo, vino e notte brava. La musica e la cultura sono interessi marginali per certi individui, che alla Notte della Taranta sono diventati in troppi.”
Il problema è che tra questi molti, tra gli entusiasti a tutti i costi, sembrano esserci anche i giornalisti.
[La foto del post, dotata di Creative Commons License, è di Matteo Pieroni]
La Notte della Taranta non mi piace più perché lo spirito primigenio di questa musica dell’anima se n’è andato forse per sempre con Pino Zimba. Perché la notte magica è stata contagiata dalla logica dell’evento a tutti i costi, che alla fine annacqua la cultura autentica e con essa l’identità. Che non fanno brand. Ma sono cultura, identità e basta.
Per questo, per ritrovare le atmosfere della musica popolare pugliese, le sue radici, preferisco Carpino. O san Marco in Lamis. Perché tutto ti puoi inventare, salvo la genuinità. Perché se ci pensi Carpino è la summa della Puglia migliore, da lì puoi vedere la laguna e il mare, restando in mezzo agli ulivi tra gli ulivi, e farti avvolgere dalle melodie - così diverse, così vicine - dei Cantatori del Gargano, di Matteo Salvatore, delle Confraternite di Vico.
Preferisco ristorarmi con l’irripetibile sapore del caciocavallo podolico e di quel certo vino che non è nemmeno doc e che non si chiama come complessi illustri, anzi neanche si chiama. Perché quelli di Carpino da anni si fanno un mazzo così per custodirle, le radici, sapendo, quando è il caso, fare un passo indietro rispetto alle ormai onnipresenti e invasive azioni di marketing territoriale.
A leggere i giornali, a guardare la televisione o a navigare per il web, la Notte della Taranta sembra invece inossidabile. I giudizi sono massicciamente entusiasti, ai limiti dell'orgiastico. Tutti giocati sull'ineffabile logica dei numeri: la riuscita dell’evento pare dipendere dagli scontrini fiscali staccati, più che dalla qualità.
Mi sento decisamente fuori dal coro, finché non trovo un post che racconta l’esperienza personale di Olimpia Dimitri, e svela una Notte della Taranta drasticamente diversa da quella raccontata dai grandi media, che somiglia più a un rave party che non a una festa popolare, con seri problemi di ordine pubblico, di cui giornali e televisioni plaudenti si sono guardati bene dal parlare, perché - si sa - the show must go on.
Poi sul profilo Facebook di Sergio Blasi, che è l’inventore della Notte della Taranta e ancora oggi uno degli organizzatori, compare una nota (molto lucida ed accorata) in cui vengono manifestate più o meno le stesse perplessità: “la Notte della Taranta - scrive Blasi - non mi provoca più l’emozione delle prime volte. Perché mi pare che al “miracolo” che ha riempito anni fa il piazzale degli Agostiniani si vada sostituendo qualcosa di indefinito, di spersonalizzante, confuso. Sugli appassionati e gli spettatori interessati prevale ormai una folla fluttuante che non riesco a ben interpretare. “
Mi colpiscono i commenti, molto assonanti on quanto scritto da Dimitri: “Il concertone, per molti - scrive qualcuno -, è sinonimo di sballo, vino e notte brava. La musica e la cultura sono interessi marginali per certi individui, che alla Notte della Taranta sono diventati in troppi.”
Il problema è che tra questi molti, tra gli entusiasti a tutti i costi, sembrano esserci anche i giornalisti.
[La foto del post, dotata di Creative Commons License, è di Matteo Pieroni]
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