Lo scempio dei fondi europei: ecco perché li abbiamo spesi così male
Scrive, sempre attento e sagace come al solito, Michele Pietrocola commentando la lettera meridiana sullo scempio dell’ottagono sul piazzale della stazione di Foggia che avrebbe dovuto ospitare uno sportello d’informazione turistica: “ Ho avuto a che fare con l' amministrazione pubblica e Geppe Inserra ha perfettamente ragione nell' auspicare un "piccolo" e fondamentale cambiamento sulla gestione post-progetto…Le amministrazioni, dopo aver attivato i finanziamenti e realizzato i progetti, dovrebbero OBBLIGATORIAMENTE prevedere dei capitoli di spesa per la gestione, dipendente dalla complessità del progetto… a 2, 3,5,10 anni e così via. I progetti, falliti miseramente appena qualche mese dopo, saranno solo un brutto ricordo. “
Pietrocola mette in effetti il dito nella piaga. C’è un vizio di fondo nella filosofia stessa della programmazione comunitaria: troppo spesso i finanziamenti vengono erogati senza che venga preventivamente verificata la capacità del soggetto che beneficia del contributo, di gestire il progetto una volta che questo va a regime.
Questo limite si è evidenziato non soltanto nel caso di progetti tutto sommato piccoli come quello del PIS dell’itinerario turistico culturale normanno-svevo che ha partorito l’ottagono o come le isole ecologiche che non sono mai entrate in funzione pur essendo state pomposamente inaugurate (con ulteriore sperpero di danaro pubblico) un paio di volte.
È successo anche con il Pit, con i Piani sociali di zona e con diversi progetti di Capitanata 2020 che non hanno messo le ali per un altro problema che spesso rallenta se non addirittura blocca i progetti comunitari: la difficoltà di realizzare o gestire progetti che per loro natura richiedono l’intesa e la cooperazione tra più soggetti.
Come a dire che la concertazione non basta. Occorre che i diversi attori chiamati all’attuazione ed alla gestione dei progetti, dopo essersi messi d’accordo sul da farsi, mettano in campo modelli cooperativi concreti che possano sostenere sia la fase di realizzazione, sia quella della gestione a regime.
Sembra un discorso astratto, ma non lo è. Anzi è dannatamente e drammaticamente concreto, come testimoniano senza alcune possibilità di smentita i soldi dei piani di zona rimasti inutilizzati e le tante cattedrali nel deserto finanziate con i quattrini europei e lasciate a marcire senza che abbiano raggiunto gli obiettivi per cui erano state realizzate.
Dalla possibilità di spendere con tempestività ed efficienza i soldi che verranno messi a disposizione dall’Unione Europea nel settennio appena cominciato, passa buona parte delle possibilità di ripresa del territorio.
Pietrocola mette in effetti il dito nella piaga. C’è un vizio di fondo nella filosofia stessa della programmazione comunitaria: troppo spesso i finanziamenti vengono erogati senza che venga preventivamente verificata la capacità del soggetto che beneficia del contributo, di gestire il progetto una volta che questo va a regime.
Questo limite si è evidenziato non soltanto nel caso di progetti tutto sommato piccoli come quello del PIS dell’itinerario turistico culturale normanno-svevo che ha partorito l’ottagono o come le isole ecologiche che non sono mai entrate in funzione pur essendo state pomposamente inaugurate (con ulteriore sperpero di danaro pubblico) un paio di volte.
È successo anche con il Pit, con i Piani sociali di zona e con diversi progetti di Capitanata 2020 che non hanno messo le ali per un altro problema che spesso rallenta se non addirittura blocca i progetti comunitari: la difficoltà di realizzare o gestire progetti che per loro natura richiedono l’intesa e la cooperazione tra più soggetti.
Come a dire che la concertazione non basta. Occorre che i diversi attori chiamati all’attuazione ed alla gestione dei progetti, dopo essersi messi d’accordo sul da farsi, mettano in campo modelli cooperativi concreti che possano sostenere sia la fase di realizzazione, sia quella della gestione a regime.
Sembra un discorso astratto, ma non lo è. Anzi è dannatamente e drammaticamente concreto, come testimoniano senza alcune possibilità di smentita i soldi dei piani di zona rimasti inutilizzati e le tante cattedrali nel deserto finanziate con i quattrini europei e lasciate a marcire senza che abbiano raggiunto gli obiettivi per cui erano state realizzate.
Dalla possibilità di spendere con tempestività ed efficienza i soldi che verranno messi a disposizione dall’Unione Europea nel settennio appena cominciato, passa buona parte delle possibilità di ripresa del territorio.
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