Carlo Gentile fascista? No. Piuttosto un campione della tolleranza.
L’articolo di Maurizio De Tullio sull’adesione giovanile alfascismo di Carlo Gentile, celebre intellettuale e filosofo foggiano, ha
suscitato diverse reazioni. L’articolo di De Tullio è un lungo commento ad un
saggio breve sulla razza che Gentile scrisse nel 1939, quando aveva appena 19 anni,
ma già si segnalava prepotentemente negli ambienti culturali cittadini per la
sua intelligenza e per la sua vivacità intellettuale.
La prima reazione all’articolo di Maurizio è di Ninì Russo che
scrive: “ ... mi viene in mente "La mosca cocchiera" di Gramsci e il
ruolo degli intellettuali. Si cavalca di volta in volta lo spirito del secolo
pur non avendo fatto nulla per suscitarlo. Grato a De Tullio per la curiosità
trasmessami di conoscere meglio questo personaggio. Lo farò.”
Importante la testimonianza di Luigi Paglia, altro noto scrittore, saggista e intellettuale
foggiano, che ha conosciuto bene Carlo Gentile, essendone stato alunno, come
tantissimi altri foggiani (me compreso) che hanno avuto la fortuna di esserne
allievi.
”Sono stato alunno del prof. Carlo Gentile – scrive Paglia - e per
l’esperienza scolastica vissuta con lui non mi sarei mai aspettato simili
…trascorsi giovanili (ma a meno di 20 anni è possibile commettere errori che in
età adulta si superano e si stigmatizzano) poiché ho conosciuto poche persone
aperte e democratiche come lui nell’insegnamento altissimo e nel colloquio con
gli studenti.
Penso che la sua grande intelligenza, la sua onestà intellettuale
e la sua ricerca filosofica lo indussero a cambiare orizzonti, e non sarei
tanto sicuro che solo la guerra e la caduta del fascismo lo abbiano… preservato
da una luminosa carriera fascista. (Vorrei ricordare che Benedetto Croce, a
quasi 60 anni, nelle votazioni al Senato del 24 giugno 1925 votò la fiducia al
governo Mussolini, per poi rompere definitivamente col fascismo).”
Come Paglia, ho avuto anche io l’onore di essere un allievo del
professore. Più precisamente, Gentile è stato per me – come si dice per le
persone il cui insegnamento di segna per tutta la vita - un Maestro. Di
filosofia ma anche di vita. Da lui ho imparato che bisogna guardare al mondo
con lo sguardo della filosofia, senza accontentarsi della prima percezione. Chiedersi
perché una cosa o un fenomeno appaiono in un certo modo, e se il loro apparire
coincida con l’essere, o non sia appunto una impressione.
Da Carlo Gentile, dal modo con cui insegnava e si
relazionava con noi studenti, in quella caldissima stagione della contestazione
giovanile, ho imparato soprattutto la tolleranza, la non violenza. Sorrideva di
fronte ai nostri ardori sessantottini: li comprendeva e li rispettava, ma ci
invitava a pensare che tra il bianco e il nero esiste un’infinità di sfumature.
Nel 1939 era difficile non essere fascisti, e Carlo Gentile
non appartenne a quella ristrettissima cerchia di intellettuali che non aderì a
quello che fu (troppo spesso lo si dimentica) un fenomeno di massa. Se si legge
con attenzione l’articolo recuperato da De Tullio, è però facile vedere come Gentile
utilizzi l’idea e il concetto di razza non nel senso che porterà diversi anni
dopo alle leggi razziali (queste sì, vero punto di non ritorno della ideologia
mussoliniana) ma piuttosto in quello di nazione.
Non si può negare che Gentile sostenga implicitamente l’idea
dell’Impero Coloniale e della missione civilizzatrice della guerra che proprio nel
1939 raggiunse l’acme, con l’invasione dell’Albania. Nemmeno un anno dopo la
pubblicazione dell’articolo, il 10 giugno del 1940, l’Italia sarebbe entrata in guerra, in quella
guerra che avrebbe definitivamente chiuso l’avventura coloniale e le manie di
grandeur ad essa sottese.
Carlo Gentile avrebbe preso le distanze dal fascismo per
aderire alla massoneria di cui fu un esponente di primissimo piano. La vedeva come
una sorta di filosofia suprema, che si traduceva in un’adesione profonda e incrollabile
verso i valori della tolleranza, del rispetto verso la vita in ogni sua forma.
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