Quel che dovrebbe insegnarci il Ciclone Nettuno

I danni provocati dal Ciclone Nettuno in provincia di Foggia mi hanno fatto tornare alla mente una storia antica che si concluse con una pesante sconfitta per la Capitanata. Ne ho già accennato in un post di qualche anno fa, dedicato ad una vicenda analoga a quella del ciclone di questi giorni, che fece seriamente preoccupare le popolazioni dell’area fortorina.
La Provincia era guidata allora da Michele Protano, presidente socialista che seguiva sempre in prima persona e con grande impegno, le vertenze che punteggiavano con crescente virulenza l’economia della Capitanata.
Era un’epoca in cui le istituzioni locali sapevano alzare la voce e sostenere i sindacati, facendo valere le ragioni del territorio: le vertenze più importanti venivano affrontate nei tavoli romani, più che in quelli baresi o provinciali. Erano gli anni Ottanta e la positiva congiuntura che aveva sostenuto il processo di industrializzazione e di infrastrutturazione della provincia di Foggia cominciava a mostrare la corda. Di lì a poco il disimpegno delle partecipazioni statali sarebbe divenuto impetuoso, ma soprattutto si sarebbe bruscamente arrestato il processo virtuoso che aveva portato la Capitanata a una dotazione infrastrutturale di tutto rispetto.

Sovente le vertenze riguardavano l’uno e l’altro corno del problema: si trattava di difendere posti di lavoro da un lato, e dall’altro di scongiurare la chiusura di cantieri preposti alla realizzazione di opere pubbliche di importanza decisiva per il futuro del territorio.
È il caso di quella che vi sto raccontando, che riguardava il cantiere della sistemazione idraulica del Fortore, opera appaltata dal Ministero delle Opere Pubbliche. Esaurito il finanziamento del primo lotto dei lavori ed eseguite le opere in esso ricadenti, i sindacati e i lavoratori premevano affinché il ministero finanziasse a realizzasse anche il secondo lotto.
Protano sposò immediatamente quella causa, battendosi con  ogni vigore affinché il cantiere non venisse smantellato.  Dei presidenti della Provincia con cui ho avuto l’onore di collaborare, è stato quello che più fermamente ha creduto nell’importanza delle infrastrutture come presupposto indispensabile per lo sviluppo del territorio. Quell’opera a metà ne era la dimostrazione più evidente.
I problemi del Fortore non rappresentavano soltanto un rischio idrogeologico, ma avevano fino ad allora compromesso la possibilità di utilizzare al meglio una delle opere più importanti di cui la Puglia si era dotata: l’invaso di Occhito. La diga non era stata collaudata, pur essendo completa ormai da anni, proprio perché la critica situazione del fiume, a valle, non consentiva l’operazione definita tecnicamente di svaso rapido, necessaria per il collaudo. Per giunta, e di conseguenza, non si poteva invasare l’acqua al massimo della portata consentita dalla diga. Quando superava un certo limite, si era costretti a sversarla subito nel fiume e in mare, con danni pesantissimi per l’agricoltura, che in quegli anni soffriva di ricorrenti crisi dovute alla siccità.
Il finanziamento del secondo lotto era inoltre necessario per altre due sacrosante ragioni: per non compromettere le opere già realizzate nel ambito del primo, e per mettere in sicurezza, in caso di piene del fiume, altre infrastrutture di grande importanza, come l’autostrada, la statale adriatica e la ferrovia adriatica.
L’impegno con cui il sindacato e la Provincia si batterono per scongiurare la chiusura del cantiere fu però inutile. La matassa non si sbrogliò, nonostante il “pressing” nei confronti del Governo di cui Protano era un indiscusso maestro:  decine di telefonate, di richieste d’incontro e di summit ministeriali non furono sufficienti a ottenere l’agognato completamento dell’opera, che restò incompiuta.
Il cantiere chiuse e le maestranze vennero licenziate. Per il collaudo della diga fu necessario attendere ancora diversi anni e diverse stagioni siccitose.
I disastri compiuti dai Ciclone Nettuno hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità degli interventi di risanamento idrogeologico e di difesa del suolo che non fanno immagine, e perciò sono sempre procrastinati, così com’è accaduto per il Fortore.
Ogni volta che piove un po’ di più sale il livello dell’allerta, così come accadde a gennaio del 2010.

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