Dopo il fracking, ecco il pozzo acidizzato. A due passi da Foggia.

Non è stato isolato il caso di fracking in provincia di Foggia denunciato la scorsa primavera dalla docente universitaria ambientalista Maria Rita D’Orsogna sul combattivo blog No all’Italia petrolizzata e sul sitoweb de Il Fatto Quotidiano. L’episodio provocò una interrogazione parlamentare dei senatori del M5S (primo firmatario Maurizio Buccarella), presentata in aula il 20 giugno scorso, ma ancora in attesa di risposta da parte del Ministro dello Sviluppo Economico, evidentemente preso da altre incombenze.
Per i non addetti ai lavori, cerchiamo di capire di che si tratta. Il fracking è una tecnica per estrarre gas contenuti nelle porosità delle rocce, che al fine di liberare il combustibile vengono sottoposte a fratturazione idraulica. Nel caso dell'acidizzazione, invece, si pompano acidi nei pozzi per allargare le porosità e depurarle dai sedimenti. Entrambe le tecniche sono finalizzate a migliorare la redditività dei pozzi: il gas intrappolato nelle rocce non fluisce spontaneamente mentre il pozzo viene trivellato, ma va in qualche modo stimolato.

[Quanti vogliono saperne di più trovano qui un articolo molto approfondito
Ma quali sono le conseguenze sull’ecosistema? La questione  è molto discussa, e di recente perfino Papa Francesco ha preso posizione, ostentando una maglietta che chiede di bloccare il fracking. C’è chi teme che, soprattutto quando la frantumazione idraulica delle rocce viene eseguito in prossimità di una faglia, possa provocare perfino terremoti. In Italia non ci sono specifici divieti, mentre l’Unione Europea sta studiando una misura che prevede di limitare l’uso del fracking solo ai pozzi in cui si accertata la presenza di rocce che contengono gas.
Ma torniamo a noi. Nei suoi articoli, Maria Rita D’Orsogna non riferisce voci o sentito dire, ma si avvale di fonti di attendibilità assoluta: le relazioni redatte dai ricercatori che hanno realizzato gli interventi. 
Per quanto riguarda il pozzo in cui è stata utilizzata la tecnica della frantumazione idraulica, l’autrice riferisce che i tecnici dell’Eni “… affermano di avere “rivitalizzato” un pozzo di gas già sfruttato in passato usando nuovissime tecniche di fratturazione idraulica che includono l’uso di fluidi “energizzanti” a base di zirconati. Il campo scelto è quello di Roseto-Montestillo, nei pressi di Lucera e la concessione è la Tertiveri. E’ stato necessario usare “elevatissime pressioni di pompaggio” e hanno avuto problemi con i proppanti, che servono a mantenere aperte le fessure dopo le operazioni di fracking. Alla fine però sono arrivati ad “ottimi guadagni” in produttività e allo stesso tempo hanno ridotto il quantitativo dei fluidi di perforazione. Purtroppo l’unico sito da cui la notizia è reperibile è quello della “Society of Petroleum Engineers” e i dettagli sono pochi.”
Nella loro interrogazione, i senatori grillini adombrano pesanti rischi dal punto di vista ambientale.
Dopo aver sottolineato che “sui siti ministeriali non vi è traccia di tale intervento, tanto che i pozzi ricompresi nella concessione Tertiveri sono elencati tutti come in produzione o non produttivi senza alcuna altra specifica (ma occorre ribadire che in Italia non c’è una normativa specifica che disciplini il ricorso al fracking, per cui una volta ottenuto il permesso lo si utilizza e basta, senza neanche l’obbligo di darne notizia, n.d.r.), i firmatari dell’interrogazione affermano che “la tecnica di fatturazione idraulica del sottosuolo, comunemente denominata con il termine anglofono fracking, è caratterizzata da un pesantissimo impatto ambientale, come documentato da numerosi ed autorevoli studi pubblicati per lo più negli Stati Uniti (studi pubblicati sulla rivista "Geology" a firma dei professori Keranen, Savage, Abers, Cochran), dove in alcuni Stati questa pratica è stata sospesa o bandita definitivamente, così come in Francia ed in altri Paesi europei.”
E non è tutto.  “Fra le ricadute documentate – aggiungono Buccarella e i suoi colleghi di Palazzo Madama - vengono segnalati problemi relativi all'inquinamento delle falde (l'acqua viene miscelata con sostanze cancerogene e radioattive), all'eccessivo consumo di acqua (la riattivazione di ogni pozzo impiega dai 7 ai 14 milioni di litri di acqua) e all'induzione di attività sismica (studi sempre americani stanno dimostrando il nesso tra fracking ed aumento esponenziale di terremoti anche di un certo rilievo nelle zone interessate.”
Come abbiamo già detto, la richiesta di chiarimenti non ha fino ad oggi prodotto risposta da parte del Ministero, ma già si profila un altro caso.
In un recente articolo, sempre sul blog No all’Italia Petrolizzata, viene data notizia di interventi di acidizzazione a Foggia, a Pisa e nell’Adriatico ed altri episodi di fracking a Viterbo e Parma.
Diversamente da quanto è successo a Biccari, il ricorso a tecniche di stimolazione questa volta non ha sortito l’effetto sperato: l’acidificazione del pozzo non ha prodotto infatti risultati apprezzabili, ed il pozzo è stato abbandonato. Ad operare è stata un’azienda canadese, la  Cygam Energy che – come si legge nel blog - nel 2007 trivellò il pozzo Posta Piana 1 nei pressi del capoluogo pugliese che poi venne acidizzato nell'Aprile del 2007 per aumentarne la capacità produttiva.

Purtroppo però nonostante la stimolazione con acidi non ci furono molti miglioramenti e nel 2008 il pozzo fu abbandonato. L’operazione è costata 5 milioni di dollari. Il pozzo viene oggi classificato come sterile."

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