L'ineffabile terroir garganico, svelato e raccontato da Gianfranco Pazienza

Terroir è una parola d’impossibile traduzione. Viene dal francese, e letteralmente sta per terra, territorio. Ma è qualcosa di più. Generalmente viene utilizzata per indicare la tipicità di un vino, ma anche in riferimento ad altri prodotti agro-alimentari, e designa il rapporto tra il territorio che produce quella certa cosa, le tecniche che vengono utilizzate per la produzione, la tradizione che quelle tecniche ha sedimentato e stratificato.
Il terroir è irripetibile proprio per questo. È qualcosa che sta qui, e non altrove. Qualcosa che scandisce, rivela e racconta il genius loci. Che non può essere improvvisata, progettata a tavolino oppure artificiosamente calata dall’alto. Qualcosa che appartiene alla terra e alla sua comunità, così come si sono reciprocamente modellate e modificate nel corso dei secoli.
Nei due racconti dell'e-book pubblicato da Lettere Meridiane [è possibile scaricarlo gratuitamente, cliccando qui per il formato pdf, e qui per il formato epub], Gianfranco Pazienza racconta il terroir del Gargano con tanta più efficacia di quanto non potrebbe fare un ponderoso saggio sociologico. Voli Ascetici e Le donne del Gargano non sono solo sole sono in un certo senso racconti di viaggio. Piccoli travel logue che descrivono più che un andar per luoghi, viaggi di tempo, un muoversi nell’anima e dell’anima, alla ricerca dell’identità più profonda del promontorio. Se c’è un posto che, scrutato con gli occhi dell’anima, diventa storia e memoria, questo è il Gargano. E Pazienza è abilissimo nello scrutare e nel narrare con gli occhi e con la voce dell’anima.

I due brani hanno partecipato a due distinte edizioni del concorso letterario Il rovo che annualmente si svolge a Cagnano Varano. Nel 2012, Voli Ascetici si è aggiudicato la piazza d’onore.
Pazienza vi racconta l’ascesa - sua e di taluni compagni di strada -lungo la Valle Campanile, fino all’abbazia di Pulsano, tra eremi e costumi ancestrali che svelano una solidarietà senza tempo. È un salire che è anche pellegrinaggio (ma ogni andare nel Gargano è a suo modo un pellegrinare, un viaggio dell’anima, appunto).               
Al terroir l’autore fa espresso riferimento nella struggente dedica che precede l’incipit dell’altro racconto, Le donne del Sud non sono solo Sole (sottotitolo: Fatte a mano). Il brano è dedicato a Rosetta Pirro e a tutte le altre persone incontrate sul Gargano, che amano e lavorano con passione per questo “terroir”; tutt’altro da chi, con la presunzione di possederlo, lo trascura.
Gianfranco svela dunque la chiave: sono le persone che fanno il terroir, assieme alla natura. Le persone che amano e lavorano con passione il terroir.
La magia della narrativa di Pazienza sta, del resto, nel fatto che i posti raccontati non sono mai fini a se stessi. Vengono caratterizzati (influenzati, resi unici ed irripetibili) dalle tante persone che l’autore incontra lungo il suo andare.
L’arcano è finalmente svelato: terroir è una sorta di territorio dinamico, è il prodotto dell’equilibrio tra comunità e natura, svela il loro modo di adattarsi reciproco, che ne fa la storia, l’identità. E il fatte a mano di cui al sottotitolo rinvia ad una manualità che è cultura primigenia. Modo d’essere della comunità. (Quante cose sono state fatte a mano nella Montagna del Sole. Penso, soprattutto ai terrazzamenti che hanno disegnato i declivi, al cavar pietre dalla terra per renderla fertile, e con le pietre raccolte ordire quelle stupende architetture    che sono i muretti a secco e i pagliari).
Ma non c’è soltanto nostalgia in questi racconti. Al contrario, mi pare di scorgervi una insopprimibile ansia di futuro.
Pazienza è stato un esponente di primissimo piano di una sparuta generazione di sognatori che - a cominciare agli anni Settanta e Ottanta - hanno immaginato per il Gargano (e per il resto della Puglia  settentrionale) uno sviluppo compatibile orientato proprio sulla valorizzazione della identità, delle radici, delle tante straordinarie risorse di questo luogo straordinario, la cui ricchezza è suggerita già dalla varietà dei toponimi: Montagna Sacra, Montagna del Sole, Sperone d’Italia.
Per rilanciare questo sogno, è necessario ritrovare il Gargano più vero, che è poi quello raccontato da Gianfranco Pazienza.  Cioé quel che è il Gargano, ma pochi lo sanno. Quel che il Gargano è stato, ma che oggi si fa fatica a ritrovare e a riconoscere. Quel che il Gargano avrebbe potuto essere, e potrebbe ancora essere, se soltanto fossimo tutti convinti che l’identità non è un reperto archeologico e neanche un album di ricordi, ma una risorsa di futuro.
Geppe Inserra

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