70 anni dai bombardamenti. Per imparare a condividere. Per imparare a convivere.



A che serve celebrare il settantesimo anniversario della tragica estate del 1943? Credo sia legittimo, anzi necessario, porsi questa domanda per scongiurare il rischio che la ricorrenza si riduca, com'è già successo, alla conta dei morti o alla rievocazione dei bombardamenti che rasero al suolo la città.
Ricordare un avvenimento, anche se drammatico, ha senso se ci aiuta a vivere meglio nel presente. Recuperare la memoria non è dunque una questione che riguarda soltanto gli storici di professione, né basta un libro, un saggio per ricordare quanto si è dimenticato. È un'operazione più complessa e profonda, che - se ha successo - contribuisce a consolidare l'identità collettiva. E quanto ce n'è bisogno, in una città che ha perduto tanta memoria proprio a causa della guerra, ed ha pagato un prezzo assai caro alla sua crescente smemoratezza.
Qualche giorno fa, nella Sala Mazza del Museo Civico assieme agli amici dell'Auser di Foggia e del cartello di associazioni Le Radici Le Ali, abbiamo presentato il bel quaderno della memoria di Raffaele De Seneen sugli antifascisti foggiani e cominciato a ragionare sulla necessità di costruire una banca della memoria che possa custodire ricordi, documenti, materiali che - data anche l'avanzata età anagrafica dei sopravvissuti - sono ormai a rischio.

Tra gli interventi che ho maggiormente apprezzato, quello di Maria Cirillo, responsabile dell'Arci: "Celebrare la guerra di liberazione così come i bombardamenti - ha detto - ha senso solo se contribuisce a creare e a sedimentare la cultura della pace."
Giustissimo, verissimo, e mi pare non vi sia risposta migliore alla domanda che ho posto nell'incipit: celebrare il settantesimo anniversario della tragica estate del 1943 è utile se serve a creare in noi una cultura di pace. Che non significa - è appena il caso di sottolinearlo - soltanto impegnarsi perché non ci siano più guerre nel mondo, ma stare in pace con il mondo che ci circonda, intrattenere buoni rapporti con il proprio prossimo, amare di più la propria comunità.
Se si condivide il discorso, si può forse cercare meglio anche la risposta ad un altro interrogativo, non ozioso: "Come celebrare l'anniversario dei bombardamenti?"
La tensione ideale e la bella partecipazione con cui la città si appresta a vivere la ricorrenza rappresentano un buon inizio affinché non si dia una risposta scontata o banale alla domanda.
Ricordare le migliaia di bombe che oltraggiarono Foggia, le migliaia di vite spezzate è un esercizio utile se produce condivisione, se dà luogo ad una memoria condivisa. E oltre le bombe, oltre le macerie, oltre la sofferenza e il dolore della morte, può (deve) esserci anche un altro punto di vista per ricordare quanto accadde a Foggia, settant’anni fa: la grande testimonianza di fraternità e di solidarietà che i foggiani e i residenti nelle città vicine seppero dare. I primi, stringendosi l’uno a fianco all’altro, ed avviando la ricostruzione con gli occhi ancora pieni di lacrime, per la morte dei loro cari, i secondi accogliendo a braccia aperte gli “sfollati” che dal capoluogo raggiunsero i centri più vicini per sfuggire ai micidiali raid aerei.
Bisognerà documentare e ricordare anche queste storie, questi episodi che compongono un affresco di straordinaria umanità e che ci consegnano un messaggio, una lezione di profonda attualità. Ricordare significa condividere. Condividere significa convivere.
Foggia sta vivendo un momento di acutissima difficoltà, paragonabile forse solo a quella drammatica estate. Per riprendere a costruire il futuro, bisogna ritrovare quello spirito di coesione, quella capacità di condivisione, quell’afflato di solidarietà che i foggiani riuscirono ad esprimere allora.
Così le celebrazioni del settantesimo anniversario saranno “utili”. Così potranno essere una premessa di futuro.

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