Il piccolo miracolo quotidiano dell'ospedale Don Uva


Ci sono miracoli difficili a vedersi, perché la Provvidenza non ama le luci della ribalta. 
Ci sono miracoli che fioriscono e si consolidano giorno per giorno, come l’amore di madri e di padri che accudiscono e curano i loro bambini down. La storia di Dio s’intreccia alla storia degli uomini, fatti a sua immagine somiglianza, e quindi potenzialmente divini, come mi ha insegnato don Tonino Intiso, nel suo libro La nostra vita: la storia di Dio, ma anche in tanti piccole e grandi testimonianze che ho toccato con mano, nel corso di un’amicizia che va avanti da quarant’anni.
Ci sono miracoli non gridati, che ti stupiscono e ti colgono di sorpresa. Miracoli che si annidano tra le righe di un comunicato stampa, come quello diffuso ieri dal Comitato spontaneo dei familiari dei pazienti dell’ospedale Don Uva di Foggia. Da mesi il nosocomio si trascina in una difficilissima vertenza, che è assai diversa dalle solite, perché non si tratta di difendere un posto di lavoro e basta, ma di assicurare la continuità delle cure e dell’assistenza ai degenti che vi sono ricoverati. Due drammi che s'intrecciano, nell'indifferenza quasi generale. Due drammi che indurrebbero alla disperazione, e che invece insegnano la speranza.

I lavoratori dell’ospedale Don Uva non sono operai metalmeccanici e neanche braccianti, non producono macchine né raccolgono pomodori. Gli operatori, i medici, le fisioterapiste, gli infermieri, gli educatori e gli impiegati che lavorano a via Lucera assistono persone molto malate, già bersagliate a loro modo dal destino: disagiati psichici, disabili e perfino malati terminali. 
Non è nemmeno benessere, ma un qualche antidoto ad una sofferenza, ad un dolore che sommerge la speranza, quello che “producono” – se proprio si deve usare il termine “produrre” che è davvero una brutta parola, perché la salute non è una merce e perché al di là degli strampalati neologismi che ogni tanto vengono partoriti dalla  burocrazia, un ospedale non è e non sarà mai un’azienda.
“Il comitato spontaneo dei familiari dei pazienti dell’Ospedale Don Uva di Foggia – si legge nel comunicato - torna ad esprimere il suo attestato di stima verso i lavoratori della storica struttura sanitaria. Solidarietà ed apprezzamento per la scelta dei dipendenti, che, grazie ai loro sacrifici, garantiscono la continuità terapeutica per i pazienti; la richiesta inoltrata alle istituzioni per un intervento immediato; un invito alla Chiesa di non tradire lo spirito assistenziale voluto dal fondatore dell’Opera Don Uva.” 
Insomma nonostante tutto, nonostante il posto di lavoro messo in discussione e il salario che non gli viene pagato, i dipendenti restano al loro posto, in trincea. E non soltanto per la vile mercede. Per attenuare la vertenza si lavora ad un contratto di solidarietà: alcuni dipendenti andranno in mobilità, altri si vedranno ridotto il salario. Fin qui la notizia che - se ci pensate bene - ha dello straordinario. 
Ma non trovate che sia un miracolo, che in questi tempi tristi, in cui tutti sono contro tutti e la solidarietà sembra bandita dalle città, dai quartieri, dalle periferie, ci siano dei lavoratori che accettino di ridursi lo stipendio pur di poter continuare a curare le persone, a lenire il dolore, a strappare un sorriso?
“Siamo vicini a tutti i dipendenti – scrivono ancora i familiari dei pazienti -: a quelli che andranno via costretti alla mobilità ed a quelli che, dimostrando costantemente il loro attaccamento al lavoro, sono così sensibili da dichiararsi disponibili al sussidio di solidarietà, pur di continuare a prestare la loro qualificata assistenza a chi soffre. I nostri figli disabili hanno bisogno come il pane della riabilitazione, i nostri padri o le nostre nonne non possono fare a meno delle cure giornaliere in reparto, i nostri fratelli non hanno altra casa possibile se non quella della disabilità mentale, i nostri cari malati terminali non hanno che l’Hospice per continuare a vivere.”
Anche se il dramma del Don Uva si sta consumando in silenzio, senza una particolare attenzione da parte degli organi di informazione che lo trattano come se si trattasse della solita vertenza, quanto sta accadendo tra le mura dell’ex ospedale psichiatrico ha un valore enorme, indica una possibilità, una prospettiva che trascende l’aspetto puramente sociale ed economico. Dice alla città, alle istituzioni, alla politica, ai cittadini ed alla stessa chiesa foggiana che i miracoli sono possibili, che la speranza e la carità abitano ancora qui.

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