Il mio amore per Troia, grazie a Vincenzo Bambacigno


È una città fortunata, quella che può permettersi a 24 ore di distanza di celebrare due suoi figli così benemeriti, come Vincenzo Bambacigno e Tonino Intiso. Insegnante e da tempo scomparso, il primo, sacerdote che ha da poco festeggiato i 75 anni il secondo, hanno entrambi recato lustro alla cittadina del Rosone ed entrambi saranno protagonisti di iniziative pubbliche nella loro città. 
Bambacigno sarà ricordato domani, in una manifestazione promossa dall'assessorato comunale alla cultura (alle 16.30 nell'Aula Consiliare di Palazzo D'Avalos, con l'intervento, tra gli altri, del soprintendente archeologico della Puglia, Luigi La Rocca, e del rettore dell'Università di Studi di Foggia, Giuliano Volpe), mentre dopodomani nel Cine Teatro Pidocchietto, verrà presentato il libro di don Tonino Intiso, La nostra Vita: la storia di Dio (di cui ho parlato in un altro post).
Bambacigno verrà ricordato attraverso la traccia più importante, il bene più prezioso (assieme a tanti altri libri e ricerche) che ha lasciato in eredità a Troia: il museo civico. 
Vincenzo è stato una persona straordinaria, che ha perseguito con una tenacia d'altri tempi alcuni valori fondamentali come il recupero del passato, della memoria; l'insegnamento e la formazione delle giovani generazioni; l'amore per la famiglia. 

Troia è per me una seconda patria. Ma non molti sanno che in questo mio amore per Troia (del tutto ricambiato, visto che ho più amici sotto il rosone che non a Foggia) c'è lo zampino proprio di Vincenzo Bambacigno.
Erano i primi anni Settanta. Allora facevo teatro, con la Comunità Nuovo Teatro, compagnia dilettantistica foggiana che aveva la sua sede nel Palazzo Vescovile di piazza Oberdan. 
Fummo invitati a Troia da Vincenzo De Santis, tipografo e giornalista, che allora guidava la sempre vivace Pro Loco locale. De Santis progettava di mettere in scena un testo - inedito - di Vincenzo Bambacigno, Cinque serpi in cambio di un impero.
Il dramma racconta una bella pagina della storia di Troia, che possiede ancora oggi una sua profonda attualità: una storia di grande dignità ed eroismo femminile, e cioè il secco rifiuto opposto da Lucinda Del Gaudio alle avance del conte d'Avalos, titolare del principato di Troia. Per vendicarsi, il nobile spedisce il marito di Lucinda, il ciabattino Riccardo Fiamma, nelle truppe dell'esercito spagnolo, a combattere contro i mori. Dopo una serie di indicibili traversie, la coppia torna finalmente a ricongiungersi.
I personaggi di Lucinda e di Riccardo erano permeati di un grande senso civico, di una grande forza morale ed onestà intellettuale. 
In questo senso, rispecchiavano squisitamente il loro autore. 
Bambacigno prese parte fervidamente alle prove, ma ribadì la sua proverbiale ritrosia ad apparire in pubblico, la sera della prima, che si tenne nello splendido cine teatro Diana, vicino la villa comunale. L'autore non partecipò alla rappresentazione e deludendo gli spettatori che chiamavano a gran voce l'autore. Mi insegnò a parlare il dialetto troiano (difficilissimo, credetemi per un foggiano…). Toccava a me la prima battuta. Dovevo dire: "chi ten scarp da accunz'a". L'ultima "a" aspirata era terribile, perché è quasi muta. Ma paziente maestro di tante generazioni di scolari, Vincenzo riuscì a farmi pronunciare correttamente la battuta.
La regia era firmata da Edgardo Longo, io interpretavo Riccardo Fiamma, Marina Vitone indossava i panni dell'eroina troiana, Michele Campanaro quelli di D'Avalos. Proprio durante la preparazione della messinscena, nacque l'amicizia tra me e Vincenzo, che ben presto si allargò ai temi che gli erano più cari: il museo, prima di tutto. Mi contagiò trasmettendomi l'amore per lo splendido passato di Troia, per la sua cultura, per la sua storia, per la ricchezza della sua comunità.
In una cittadina allora profondamente divisa tra guelfi e ghibellini, Bambacigno era schierato senza riserve dalla parte dei ghibellini. Credeva fermamente nella laicità dello Stato, e per questo sentiva molto la mancanza di un museo comunale. 
Troia può vantare un impressionante patrimonio museale. Oggi sono tre, ma all'epoca esistevano solo quelli (importantissimi) religiosi: il museo del Tesoro della Cattedrale e quello diocesano (che, come anni dopo avrei appreso dal soprintendente ai Beni Culturali, Nunzio Tomaioli, vanta un record considerevole: è tra i pochi musei del Mezzogiorno a possedere un patrimonio artistico che va senza soluzione di continuità dal Settecento fino ai giorni nostri). Molti, ma molti anni dopo, spetterà a Giovanni Aquilino, ad Antonio Gelormini ed al loro progetto Daunia Vetus rimettere a posto le cose, sancendo la sinergia dei musei religiosi e laici.
Bambacigno era allora ispettore onorario della Soprintendenza e sotto questa veste era riuscito a mettere assieme un formidabile patrimonio di reperti, sequestrati ai  tombaroli, attività purtroppo assai fiorente, ed impedendo ulteriori atti predatori Mancava, però, una sede idonea alla esposizione. Dopo un pressing durato diversi anni, riuscì finalmente a coronare il suo sogno, quando l'amministrazione comunale decise di destinare a sede museale alcuni locali del piano terra e il seminterrato di Palazzo d'Avalos.  
L'amicizia sbocciata durante le prove di Cinque Serpi in cambio di un impero è durata praticamente tutta la vita, propiziando tanti altri successivi ritorni a Troia, a cominciare dall'incontro con Giacomo Curato, che mi affidò la direzione di Radio Studio 98, attraverso la quale conobbi gli amici di oggi. Tantissimi. Ma questa è un'altra storia, che vi racconto un'altra volta.

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