La scomparsa di Franco Perdonò
E’ improvvisamente scomparso all’età di 73 anni il collega
Franco Perdonò, decano dei giornalisti dauni. Ho avuto il piacere di
collaborare con lui in due redazioni: quella foggiana della Gazzetta del
Mezzogiorno, e molti anni dopo in quella del Quotidiano di Foggia. In entrambe
le occasioni ho imparato ad apprezzare la sua professionalità. Franco è stato
un cronista di razza, in grado di raccontare la realtà ed i suoi avvenimenti
con sagacia ma anche con spirito critico.
Alla Gazzetta del Mezzogiorno gli venne affidata una rubrica
particolare, che si intitolava “Un giorno in Pretura”. L’aveva pensata ed inventata
per lui Lello Vecchiarino. Era un compito non facile, perché, diversamente da
quanto generalmente accade con la cronaca giudiziaria, non si trattava di
raccontare il grave fatto di sangue o il processo che appassiona l’opinione
pubblica, ma le piccole vicende della vita quotidiana che per una ragione o l’altra
finivano nelle aule della Pretura. I suoi pezzi erano molto letti perché offrivano
lo spaccato di una realtà viva, ma solitamente ignorata dalla grande
informazione. Era un maestro nel cercare la notizia, o il personaggio, non
convenzionali, ma in grado di attirare l’interesse dei lettori.
Perdonò sapeva raccontare queste piccole grandi storie con
tono disincantato, ma nello stesso tempo attento, mettendo in evidenza l’umanità
di quelle vicende, dei personaggi che ne erano coinvolti. Era un eccellente
osservatore, dote che ho apprezzato in lui anche quando molti anni più tardi,
soltanto qualche mese fa, ci siamo ritrovati al Quotidiano di Foggia. Qui si
occupava soprattutto di cronaca bianca, amministrativa, in un contesto di
gravissima crisi della politica e delle istituzioni locali.
Nei commenti privati era piuttosto severo, se non
addirittura caustico, con i protagonisti del teatrino di una politica che ha
vissuto tempi migliori e che Franco, di formazione cristiano-sociale, aveva
direttamente conosciuto ed interpretato. Ma negli articoli il suo sforzo
maggiore era quello di mettere i lettori nelle condizioni di capire, di farsi
una opinione. Era convinto – e sono assolutamente d’accordo con lui – che il
mestiere di cronista, il raccontare i fatti non dovesse esaurirsi nella critica
fine a se stessa, ma dovesse stimolare partecipazione, impegno civile.
E’ questa la bella eredità che ci lascia, e gliene siamo
grati. Ci mancherà molto.
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