Sanità e liste di attesa: quando il cane si morde la coda


Che sia la sanità il nervo scoperto della giunta regionale pugliese è fuor di dubbio. Com’è altrettanto fuor di dubbio che la scommessa politica più importante che attende il governo guidato da Vendola da qui fino alla fine della legislatura sta proprio nella riuscita della missione impossibile sottesa al cosiddetto piano di rientro: far quadrare i conti e nello stesso tempo difendere, se non migliorare gli standard dei servizi sanitari regionali.
Un bel problema, anche perché il rischio di corto circuito è quanto mai elevato, come insegna il classico dilemma dell’uovo e della gallina. Accontentarsi dell’uovo oggi,potrebbe far perdere del tutto la gallina domani. L’espressione più evidente del rischio di corti circuito è data dalle liste di attesa, che rappresentano anche un nemmeno tanto simbolico contrappasso per l’intera e complessa vicenda della sanità pugliese. All’atto dell’insediamento del suo primo governo, il governatore Vendola annunciò che il suo primo banco di prova era rappresentato dalla riduzione dei tempi d’attesa per ottenere le prestazioni specialistiche presso i nosocomi pugliesi o le strutture territoriali delle Asl.
Ad un certo punto del primo quinquennio di governo regionale di centrosinistra, le liste d’attesa cominciarono effettivamente a ridursi: non tanto per effetto di una migliore organizzazione della sanità pubblica, quanto per un più efficiente concorso della sanità privata.

Con l’andata in vigore delle politiche di austerità che hanno provocato pesantissimi tagli di spesa, i tempi d’attesa hanno ricominciato a salire, e c’è chi sostiene che potrebbero diventare insostenibili. E’ l’effetto dei tagli imposti alle prestazioni che veniva prima rese dalle strutture sanitarie private, che dovranno stare nei tetti di spesa imposti dalla manovra di rientro, e non potranno più sforare come accadeva in passato. Ed è qui che il rischio di corto circuito diventa più concreto ed evidente.  
Il problema (evidente ma sottaciuto) è che le strutture pubbliche non sono in grado di soddisfare l’accresciuta domanda di prestazioni, provocata dalla imposizione dei tetti di spesa alle strutture private. Non lo sono oggi e non lo saranno domani, dal momento che, tra le altre cose, il piano di rientro impone anche il blocco del turn over, ovvero il divieto di rimpiazzare il personale medico e paramedico che va in pensione.
Con il rischio che – come un cane che si morde la coda -  il risparmio di oggi si traduca in una maggiore spesa domani, ridando vigore all’aberrante fenomeno dei viaggi della speranza, ovvero della migrazione fuori regioni per prestazioni specialistiche e ricoveri  ospedalieri, che all’inizio del suo mandato Vendola intendeva mitigare proprio attraverso la riduzione dei tempi di attesa.
La legge consente ai cittadini che lo desiderano di rivolgersi a strutture sanitarie pubbliche anche al di fuori del territorio della Regione in cui risiedono. In questo caso, però, la Regione di provenienza è tenuta a  rimborsare alla Regione che accoglie il paziente migrante il costo della prestazione: il rischio, tutt’altro che remoto, è che quello che si è risparmiato oggi limitando il ricorso alle strutture private, vengano pagate domani, in termini di rimborsi alle altre Regioni.
Oggi più che mai, si dovrebbe fare di necessità virtù, cercando di approfittare delle restrizioni imposte dal piano di rientro sanitario per cercare di far compiere un salto di qualità complessivo al sistema sanitario regionale. Stringere la cinghia,insomma, ma con intelligenza e con lungimiranza. Ed è in questa direzione che la politica può e deve fare molto, ripensando complessivamente e completamente il sistema, tagliando gli sprechi veri.
Perché non si pensa, per esempio, ad un centro unico di spesa per tutte le Asl pugliesi, ad appalti centralizzati? Al di là delle bufere giudiziarie che si sono abbattute e continuano ad abbattersi sugli appalti sanitari, è di assoluta evidenza che centralizzare gli acquisti (ovviamente secondo regole certe di trasparenza e di legalità) consentirebbe alle aziende sanitarie pubbliche di spuntare prezzi più remunerativi, nella misura in  cui aumenterebbe la concorrenza tra le imprese che partecipano alle gare. 
Andrebbero inoltre ripensati seriamente i rapporti tra le strutture ospedaliere e quelle territoriali che fanno capo alle Asl: spesso le competenze si intrecciano o addirittura di sovrappongono. Ed infine sarebbero necessari anche controlli più rigorosi sulla cosiddetta appropriatezza prescrittiva, nel senso di vigilare affinché le visite specialistiche, le analisi, i ricoveri chiesti dai medici di famiglia rispondano effettivamente al bisogno di salute del paziente.
Non stiamo parlando di cose di un altro pianeta: ma di quella efficacia ed efficienza dei servizi pubblici che, alla vigilia del federalismo, rappresenterà il vero banco di prova per le istituzioni pubbliche meridionali, e non soltanto sanitarie.

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