Gargano: mare, sole e veleni
La Rai scoperchia il vaso di Pandora. Il Gargano potrebbe essere stato al centro di traffici internazionali di rifiuti tossici e nocivi. E potrebbe non essere isolato il caso della Eden V, la nave arenatasi sul litorale di Lesina. Di questo e di altro si è parlato nella inchiesta di Angelo Saso, trasmessa l’altra notte, “Quella nave insabbiata / La rotta della Eden Five perduta in Adriatico”.
L’inchiesta comincia con la testimonianza dell’ex comandante della Capitaneria di porto di Manfredonia, Ubaldo Scarpati, che rievoca la notte del naufragio. La segnalazione fu effettuata dall’equipaggio di un elicottero della linea Foggia-Tremiti. “Cercammo di intervenire ma il comandante della nave per diverse volte rifiutò la nostra assistenza. Lui dichiarava di essere al sicuro e che non c’era pericolo né per la nave, né per l’equipaggio.Ma la nave era ormai già arenata.”
Nell’inchiesta di RaiNews 24 viene intervistato anche il giornalista Gianni Lannes, che da anni si occupa nelle sue inchieste di navi dei veleni o, comunque, dal dubbio carico. Angelo Saso racconta e fa vedere anche l’attentato subito da Lannes l’estate scorsa. Ma perché e a chi – si chiede Saso- la storia dell’Eden V può dare fastidio?
IL COMANDANTE DELLA EDEN V NON VOLLE SOCCORSO
È sempre Scarpati a ricordare che secondo quanto la guardia costiera lesse sul giornale di bordo, la nave veniva da Beirut ed era diretta in Jugoslavia. Gianni Lannes sottolinea la stranezza della rotta seguita dalla nave che doveva navigare verso le coste slave e invece si trovava nelle acque antistanti il Gargano. L’inchiesta della Rai, particolarmente approfondita e documentata, mostra anche il giornale di bordo della nave, attualmente custodito da Antonio Fusco, un operatore marittimo di Termoli che venne incaricato dall’armatore della Eden V di svolgere le operazioni di messa in sicurezza della nave, oramai arenata sulla spiaggia di Lesina. Secondo quanto si legge sul giornale di bordo la nave sarebbe incappata in una tempesta scoppiata nello spazio di mare tra l’isola Pelagosa e le isole Tremiti. Il giornale di bordo ha una particolarità che può venire facilmente colta anche dai non addetti ai lavori: il diario riporta un solo viaggio, l’ultimo.
Stando ai documenti di viaggio, la nave doveva essere vuota, ma mancando qualsiasi documentazione sui viaggi precedenti resta, come affermato dallo stesso ex comandante della capitaneria di porto, iil mistero sul suo effettivo carico.
Un altro aspetto sconcertante è che a Beirut, prima del viaggio verso la Jugoslavia, viene improvvisamente cambiato tutto l’equipaggio. 17 uomini, per lo più medio orientali: due di loro sono segnalati per spaccio di stupefacenti a bordo di navi. Come si legge in un rapporto della Guardia di Finanza, citato da Saso, anche il comandante della nave ha precedenti penali per spaccio di droga. In un’altra informativa trasmessa dalla Guardia di Finanza alla procura della Repubblica di Lucera viene sottolineato lo stretto legame tra la Eden e altre quattro navi implicate in loschi traffici: armi e non solo.
PRIMA DI LESINA ERA GIÀ AFFONDATA…TRE VOLTE
Ad essere proprietari di queste navi sono due cittadini libanesi. Le successive indagini accertano che le stive della nave erano effettivamente vuote. Determinante nelle indagini, si rivela l’apporto di Waddington, un agente investigativo dei Lloyd di Londra che scopre che la Eden era già affondata altre volte. L’ultima volta soltanto un mese prima del naufragio sulle coste del Gargano: ma allora non si chiamava Eden ma Sea Wolf. La Rai ha contattato l’investigatore che ha ricordato come la Sea Wolf fosse stata dichiarata ufficialmente affondata con il suo intero carico., mentre l’intero equipaggio era stato tratto in salvo. Si sospetta, tuttavia, che con diversi nomi la nave fosse stata “affondata” almeno altre tre volte.
“Ho ispezionato le stive, ma le ho trovate vuote- ricorda Waddington – ma ovunque c’erano tracce dei carichi precedenti. C’era per esempio un sacco vuoto che una volta aveva contenuto caffè. Ceci sparsi e altre sostanze: tutte cose che erano state dichiarate perdute.”
Una nave dai dubbi traffici, insomma. La procura di Lucera iscrive il comandante della nave nel registro degli indagati. Gli altri componenti dell’equipaggio vengono, invece, accompagnati a Roma e rimpatriati. Anche il comandante, però, prende il volo scomparendo senza che nessuno lo fermi.
Nessuno lo troverà più anche quando, a conclusione del procedimento giudiziario cui sarà sottoposto in contumacia, il tribunale di Lucera cercherà di notificargli la condanna a quattro anni di reclusione per naufragio colposo. L’inchiesta della Rai evidenzia un incredibile errore geografico in cui è incorso il tribunale lucerino che cercava a Beirut, città di residenza del comandante, in Algeria e non in Libano.
Il processo non è comunque riuscito a dare risposta ai pesanti interrogativi che da sempre aleggiano sulla vicenda: quando è salpata da Beirut, la nave era effettivamente vuota? e se non lo era, che cosa trasportava?
La rotta della Eden V potrebbe incrociarsi, e non soltanto metaforicamente, con quella di uno dei più grossi affari internazionali di traffico illegale di rifiuti degli ultimi decenni.
QUELLA ROTTA PERICOLOSA TRA IL LIBANO E IL GARGANO
Angelo Saso ipotizza che la Eden V possa essere stata coinvolta nel traffico illecito di rifiuti che vide crocevia il Libano alla fine degli anni 80. La nave risulta in effetti ancorata nel porto di Beirut quando, nel 1988 esplose il caso di rifiuti tossici italiani portati in una incredibile quantità in Libano. La Eden V potrebbe essere stata implicata nelle manovre che, dopo la scoperta di Beirut, furono avviate per smaltire l’immensa quantità di rifiuti di proprietà italiana, stipata in migliaia di container e fusti dal contenuto tossico, che provocarono l’avvelenamento di decine di libanesi.
È difficile che la Eden V potesse trasportare container. Poteva, però, trasportare fusti. Nella inchiesta di RaiNews 24, Gianni Lannes ricorda di aver fotografato negli ultimi 12 anni almeno un centinaio di barili sparsi sul litorale garganico e perfino sott’acqua.
Non è detto che questi fusti fossero stipati nella Eden V, né che l’affondamento fosse stato procurato: il comandante si è sempre difeso sostenendo aveva perduto il controllo della nave a causa delle pessime condizioni del mare. Però l’inchiesta della Rai avanza una ipotesi ancora più drammatica. Nel corso delle indagini venne parzialmente accertato che a far perdere al comandante il controllo della nave fu la sua eccessiva leggerezza. L’ipotesi che viene adombrata e che la Eden possa essersi disfatta del suo carico (rifiuti tossici? rifiuti radioattivi?) prima di insabbiarsi nelle acque di Lesina.
L’ipotesi che la nave potesse star trasportando fusti tossici provenienti dal Porto di Beirut ma comunque di origine italiana è rafforzata da alcune misteriose telefonate giunte all’agenzia marittima di Termoli incaricata delle operazioni di messa in sicurezza della nave. Tra queste c’è anche la telefonata di un’agenzia marittima di Carrara. Carra è l’ombelico dei traffici illeciti che trasformarono per responsabilità italiana, il Libano in una gigantesca patumiera. Proprio dal porto di Carrara, l’11 febbraio 1987, era partita la nave Links carica di 2400 tonnellate di rifiuti tossici prodotti dalla Jelli Wax, poi finiti in Libano.
MA COSA C’È NEL FONDALE DEL GARGANO?
Che il Gargano, negli anni 90, sia stato usato come una discarica sottomarina -afferma Saso nella sua inchiesta – è ancora una voce. Ma la conferma sembra arrivare da un altro drammatico episodio, verificatosi in una notte di fine inverno, nel 1988. Un motopeschereccio di Manfredonia, l’Orca Marina, è fuori per una battuta a strascico, 12 miglia al largo di Vieste quando, improvvisamente, le reti incappano in qualcosa che le blocca, sul fondo. L’attrito è così forte da causare il capovolgimento del peschereccio. L’incidente provoca anche la morte di uno dei pescatori che lavoravano sulla barca, il fratello del comandante.
L’inchiesta di Saso raccoglie la testimonianza di un membro dell’equipaggio secondo il quale a provocare il capovolgimento del peschereccio era stato l’improvviso e misterioso ostacolo.
Il comandante del motopeschereccio sarebbe stato processato per quel naufragio, ma assolto grazie a una perizia che avrebbe accertato che a provocare l’incidente era stato proprio l’incaglio delle reti in qualche misterioso oggetto sul fondo, che in quelle zone è sabbioso. È evidente dunque che sul fondo doveva trovarsi un ostacolo, visto che in quel punto non ci sono scogliere.
Secondo una perizia effettuata dall’autorità portuale di Manfredonia, l’ostacolo poteva essere rappresentato dal possibile interramento di un container sul luogo del sinistro. Nonostante l’intervento della Marina militare, non è stato comunque possibile accertare né l’effettiva presenza di un ostacolo sul fondo, né la natura dell’ostacolo stesso.
IL CASO DELL’ORCA MARINA
Quel container non è comunque il solo possibile ostacolo alle reti dei pescherecci.
L’inchiesta televisiva ha accertato che nelle mappe dei pescherecci di Manfredonia – mappe utili sia a propiziare una buona pesca che a rendere sicura la navigazione – sono segnalati numerosissimi di “ostacoli” simili a quello che avrebbe provocato il capovolgimento della Orca Marina. I “puntini” che segnalano la presenza di questi ostacoli (che i pescatori Manfredonia definiscono senza esitazione container) si infittiscono soprattutto nei pressi di Vieste. Alla domanda del curatore dell’inchiesta su quanti possano essere i misteriosi “puntini” un pescatore ha risposto che potrebbero essere “mille, mille e due, mille e tre… molti”.
Eden V a parte, diventa sempre più corposo il timore che le acque tra le Tremiti ed il Gargano possano essere state al centro di loschi traffici rifiuti tossici e nocivi.
“Centinaia è forse migliaia fusti al largo del Gargano -conclude Saso -, se fosse davvero così sarebbe una bomba chimica, una bomba ad orologeria nelle acque dell’Adriatico. L’inchiesta raccoglie anche la testimonianza di Michele di Carlo in rappresentanza delle associazioni del Gargano: “La gente vuole sapere, vuole risposte certe, si preoccupa della salute dei propri cari. Vorrebbe sapere cosa c’è nell’acqua, nel suolo”. Chissà che dopo il convegno voltosi qualche settimana fa, l’impegno di Lannes e la coraggiosa inchiesta di RaiNews 24 qualcosa non cominci finalmente a muoversi.
(Nelle foto: Gianni Lannes davanti a quel che resta della Eden V. Il monitor di un radar installato a bordo di un peschereccio di Manfredonia che segnala l’esistenza di ostacoli pericoloso sul fondale. Da notare quanto sia fitta la mappa).
PER GUARDARE L’INCHIESTA SUL CANALE DI RAI NEWS 24 CLICCARE QUI
(Pubblicato il 14 settembre 2009 sul Quotidiano di Foggia)
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