Quei bombardamenti che non finiscono mai: Foggia, fuggi da Foggia
Così Foggia ha saluto la nascita del Salvatore |
Non è affatto un caso che le ultime epiche gesta di questi nuovi barbari abbiano avuto come teatro e come bersaglio, la notte di San Silvestro luoghi simbolici di Foggia civile, come il Municipio, la casa di tutti, e di Foggia storica, come le stele che tempo fa erano state poste nella villa comunale proprio a ricordo dei bombardamenti e dei foggiani che si prodigarono per lenire le sofferenze della popolazione.
Uccidendo migliaia di inermi cittadini, gli alleati fecero a pezzi la memoria viva e reale della città. Oltraggiando i suoi simboli, i vandali e gli "indifferenti" distruggono quel che resta della memoria collettiva, che va facendosi sempre più residuale, rarefatta, superficiale e perciò sempre meno pubblica, e sempre meno condivisa.
Leggo basito il grido di dolore lanciato da Massimo Mazza, nipote di quel Diego De Mita, medico, cui è dedicata la stele distrutta, e figlio di quel Maurizio Mazza, giornalista e storico direttore del Museo civico, che ha contribuito in modo decisivo alla ricostruzione postbellica, salvando il più inestimabile gioiello d’arte che la città possegga, l’arco del palazzo regale di Federico II.
Più che un j’accuse è un atto di resa, quello di Massimo: “Ho difeso questa città con mio padre per 50 anni, con il nostro Gazzettino Dauno. Adesso basta. Viviamo in una comunità di barbari. Foggia, fuggi da Foggia.”
Per fortuna, il comprensibile desiderio di fuga del buon Mazza è subito rientrato: a tempo di record, un’azienda privata che si occupa di manutenzione del verde ha provveduto al ripristino ed al restauro della stele.
Ma il lieto fine non cancella il fatto che resta in tutta la sua gravità e che più che facili scandalismi, dovrebbe propiziare una riflessione più corale e più consapevole sul modo tutt’altro che esemplare con cui Foggia ha vissuto queste (famigerate) feste che stanno (per fortuna) per concludersi.
Attenzione, infatti, a considerare questi episodi solo come un fenomeno di devianza marginale, che riguarda pochi balordi, cellula cancerosa di una città tutto sommato sana. Se accadono queste cose, è perché tutto il corpo sociale e civile della città - la città come organismo - è malato. Profondamente malato.
Qualche giorno prima della guerriglia di San Silvestro, si era levato un altro grido di dolore, rimasto per lo più inascoltato, quello dell’arcivescovo Vincenzo Pelvi che aveva stigmatizzato (per i secondo anno di seguito…) l’eccessiva secolarizzazione del Natale foggiano, deprivato di ogni significato religioso e culturale, e ridotto a momento di libagione e di soddisfazione mangereccia.
Nico Baratta ha documentato in un video in cui le immagini parlano da sole (potete vederlo cliccando qui), com’era ridotta la città alle 22.30 della vigilia di Natale, ovvero un’ora e mezza prima quel momento fatidico per cui il Natale dovrebbe essere celebrato e festeggiato: la nascita del Salvatore. “A Foggia ormai è tutto e sempre una movida”, ha commentato Baratta. Impossibile dargli torto.
La città era ridotta ad un gigantesco immondezzaio, grazie ai tantissimi foggiani che hanno mangiato e bevuto nei locali del centro e presso gli stand della immancabile manifestazione enogastronomica, installati tra il Teatro e l’Arcivescovado e per le altre strade di quello che dovrebbe essere il salotto buono della città.
Ma è inutile girarci attorno, così come è inutile scaricare responsabilità su chi doveva evitare quel che è successo, migliorando la logistica: a sporcare, a deturpare, ad avvilire il significato della festa siamo stati noi. I cittadini. I foggiani. Tutti, e non solo i vandali di turno.
Geppe Inserra
Commenti
Sono la nostra vergogna!
Nico Baratta.