Perchè Briatore ha scelto il Salento e non il Gargano (di Maurizio Tardio)
Giornalista acuto ed intelligente osservatore, Maurizio Tardio mi ha inviato questa interessante riflessione sul “caso Briatore”. Il manager del lusso aprirà ad Otranto il Twiga Beach Club, che ha già sperimentano con successo in Versilia, Monte Carlo e Dubai, Maurizio si domanda perché Briatore abbia scelto il Salento, piuttosto che il Gargano, e definisce la sua riflessione “semiseria”.
A me pare invece serissima, efficace, stimolante.
Un’ottima occasione per riflettere assieme sul Gargano e sul suo turismo, sulla sua identità, i suoi limiti.
Ricordo ancora il racconto dell’improvvisato autista dell’attrice Sylva Koscina, catapultata sul Gargano dal richiamo del progetto del presidente dell’ENI, all’affannosa ricerca del luogo sul quale doveva sorgere un villaggio turistico extralusso.
In quegli anni il Gargano veniva scoperto dai Vip e si apprestava ad inaugurare una lunga e fortunata stagione turistica, prontamente ripresa dalla guida del Touring Club che dedicava racconti suggestivi e fotografie mozzafiato al Promontorio, fino ad allora considerato solo per la Sacra Spelonca di Monte S. Angelo e per i miracoli di un Frate cappuccino.
Era la rivoluzione.
Nascevano le prime strutture alberghiere di grande richiamo. C’erano pochi lidi attrezzati e la spiaggia libera la faceva da padrone, ma il cambiamento era avviato. Il selvaggio Gargano stava diventando sempre meno selvaggio e sempre più cementificato. Si costruiva dove si poteva e dove si voleva. Tanto nessuno controllava. I garganici che non erano mai stati marinai, diventarono bagnini e, con qualche ambizione di troppo, imprenditori turistici. Piccoli Briatore crescevano a colpi di caciocavallo podolico e pancotto.
Guastati i cromosomi, si guastava anche il territorio (la nostra ILVA è il mattone e il cemento).
In Giappone nel periodo maggio-novembre si abbattono tifoni che possono avere una forza distruttrice su ampia scala, com’è successo nel 2015 quando il tifone Etau sommerse gran parte del settentrione nipponico, seminando morte, spavento e provocando 100mila sfollati.
I giapponesi, anche con il più forte dei tifoni, vanno a lavorare. Le attività rallentano, non si fermano. Niente si blocca (se non gli aeroporti), ma soprattutto niente fa scattare la litania del disastro che si poteva evitare, dei danni per colpa della burocrazia, della distruzione per mancanza di manutenzione di strade e canali. Ci sono i tifoni, eventi naturali, e ci sono le modalità per limitare i danni (come abbattere le case troppo vecchie o a rischio). Punto. Nessuna tragedia oltre ai danni provocati dal tifone.
Soprattutto, dopo ogni tifone (ma riguarda anche terremoti e tsunami), si fa tesoro dell’esperienza vissuta per organizzare una risposta efficace di contenimento della calamità naturale.
Il Giappone si è affidato a un’Agenzia per la ricostruzione, direttamente dipendente dal primo ministro; ha anche rafforzato, con il Piano Base sulla gestione dei disastri, la cooperazione tra territori per incentivare una ripresa integrata, ma soprattutto ha stimolato la partecipazione dei privati (specie nei trasporti e nell’energia) alla gestione dell’emergenza. Dunque, procedure snelle, veloci, efficaci. Pochi centri di potere e poche ma precise regole per la ricostruzione.
Dal 2014 ad oggi il Giappone ha dovuto affrontare almeno 7 devastanti tifoni, che hanno seminato panico e morte. Nello stesso periodo il Gargano si è allagato almeno 4 volte: fango e detriti hanno cancellato strade e ridisegnato il territorio. Anche qui con gravi danni e morte.
Nel primo caso la ricostruzione è una questione territoriale, nel secondo è comunale.
Forse prima di nuove strutture (aeroporto e strade), c’è bisogno di strutture diverse (manutenzione e governance territoriale). Occorre un cambio di mentalità.
Maurizio Tardio
A me pare invece serissima, efficace, stimolante.
Un’ottima occasione per riflettere assieme sul Gargano e sul suo turismo, sulla sua identità, i suoi limiti.
* * *
PERCHÈ BRIATORE GUARDA AL SALENTO E NON AL GARGANO
E PERCHÈ IN GIAPPONE I TIFONI NON SPAVENTANO
MENTRE SUL PROMONTORIO BASTANO DUE GOCCE D’ACQUA?
Qualche decennio fa un tizio che rispondeva al nome di Enrico Mattei voleva fare del Gargano un punto di ritrovo e di ristoro di facoltosi imprenditori e dive del mondo dello spettacolo.Ricordo ancora il racconto dell’improvvisato autista dell’attrice Sylva Koscina, catapultata sul Gargano dal richiamo del progetto del presidente dell’ENI, all’affannosa ricerca del luogo sul quale doveva sorgere un villaggio turistico extralusso.
In quegli anni il Gargano veniva scoperto dai Vip e si apprestava ad inaugurare una lunga e fortunata stagione turistica, prontamente ripresa dalla guida del Touring Club che dedicava racconti suggestivi e fotografie mozzafiato al Promontorio, fino ad allora considerato solo per la Sacra Spelonca di Monte S. Angelo e per i miracoli di un Frate cappuccino.
Era la rivoluzione.
Nascevano le prime strutture alberghiere di grande richiamo. C’erano pochi lidi attrezzati e la spiaggia libera la faceva da padrone, ma il cambiamento era avviato. Il selvaggio Gargano stava diventando sempre meno selvaggio e sempre più cementificato. Si costruiva dove si poteva e dove si voleva. Tanto nessuno controllava. I garganici che non erano mai stati marinai, diventarono bagnini e, con qualche ambizione di troppo, imprenditori turistici. Piccoli Briatore crescevano a colpi di caciocavallo podolico e pancotto.
Guastati i cromosomi, si guastava anche il territorio (la nostra ILVA è il mattone e il cemento).
In Giappone nel periodo maggio-novembre si abbattono tifoni che possono avere una forza distruttrice su ampia scala, com’è successo nel 2015 quando il tifone Etau sommerse gran parte del settentrione nipponico, seminando morte, spavento e provocando 100mila sfollati.
I giapponesi, anche con il più forte dei tifoni, vanno a lavorare. Le attività rallentano, non si fermano. Niente si blocca (se non gli aeroporti), ma soprattutto niente fa scattare la litania del disastro che si poteva evitare, dei danni per colpa della burocrazia, della distruzione per mancanza di manutenzione di strade e canali. Ci sono i tifoni, eventi naturali, e ci sono le modalità per limitare i danni (come abbattere le case troppo vecchie o a rischio). Punto. Nessuna tragedia oltre ai danni provocati dal tifone.
Soprattutto, dopo ogni tifone (ma riguarda anche terremoti e tsunami), si fa tesoro dell’esperienza vissuta per organizzare una risposta efficace di contenimento della calamità naturale.
Il Giappone si è affidato a un’Agenzia per la ricostruzione, direttamente dipendente dal primo ministro; ha anche rafforzato, con il Piano Base sulla gestione dei disastri, la cooperazione tra territori per incentivare una ripresa integrata, ma soprattutto ha stimolato la partecipazione dei privati (specie nei trasporti e nell’energia) alla gestione dell’emergenza. Dunque, procedure snelle, veloci, efficaci. Pochi centri di potere e poche ma precise regole per la ricostruzione.
Dal 2014 ad oggi il Giappone ha dovuto affrontare almeno 7 devastanti tifoni, che hanno seminato panico e morte. Nello stesso periodo il Gargano si è allagato almeno 4 volte: fango e detriti hanno cancellato strade e ridisegnato il territorio. Anche qui con gravi danni e morte.
Nel primo caso la ricostruzione è una questione territoriale, nel secondo è comunale.
Forse prima di nuove strutture (aeroporto e strade), c’è bisogno di strutture diverse (manutenzione e governance territoriale). Occorre un cambio di mentalità.
Maurizio Tardio
Commenti