Tavoliere, crocevia del sottosviluppo. L'inchiesta sull'oro rosso finanziata da Bill Gates.
Quella di Prince Bony è una storia singolare, ma per molti versi emblematica. In Ghana, dov’è nato, coltivava pomodori. Ma sognava per lui e per la sua famiglia - la moglie e due figli che adesso non vede da sette anni - un futuro migliore. Per questo è venuto in Italia, nelle campagne del Tavoliere di Puglia. A raccogliere pomodori. A fare più o meno lo stesso lavoro che faceva al suo paese. E a vivere peggio.
A raccontare la vicenda sono stati su Le Monde Diplomatique, Mathilde Auvillain e Stefano Liberti. Realizzata grazie a The Innovation in Development Reporting Grant Programme dello European Journalism Center (EJC), finanziato dalla Bill e Melinda Gates Foundation (ne ho parlato già in questa lettera meridiana), l’inchiesta - con il titolo Il lato oscuro dei pomodori italiani -, è stata pubblicata in Italia dal settimanale Internazionale. È la copertina del n. 1066.
I fatti al centro del reportage sono messi in evidenza con efficacia nel sottotitolo: il lavoro dei braccianti africani nell’Italia del sud serve a produrre le conserve di pomodoro che sono esportate a prezzi stracciati in Ghana. Dove fanno concorrenza ai prodotti locali e stravolgono le abitudini alimentari della popolazione.
L’inchiesta di Mathilde Auvillain e Stefano Liberti è preziosa, per il suo particoare punto di vista. Al centro non c’è quello sguardo ipocrita che affiora dalla classiche indagini di Gatti su L’Espresso, nelle quali lo schiavismo e lo sfruttamento sembrano essere un’aberrazione, e non invece qualcosa di perfettamente coerente al sistema. Auvillain e Liberti cercano di capire fino in fondo.
Il lavoro dei due giornalisti riesce a collocare quanto accade in uno sperduto angolo del Tavoliere con quanto accade in un ancora più sperduto angolo del Ghana, svelando e raccontando le connessioni nascoste del mercato globale e le sue regole: il sottosviluppo di un’area è funzionale allo sviluppo di un’altra area, ed è per questo che le aree depresse si trovano in una condizione di crescita inceppata.
Prince Boy diventa l’emblema di questo circolo vizioso: uomini che partono dalle loro terre sottosviluppate con le loro braccia e il loro desiderio di futuro, e vanno a produrre merci nelle zone sviluppate, che li rivendono ai loro paesi d’origine, distruggendo l’economia locale. I ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri.
Prince Bony abita con i suoi compagni di sventura a Ghana House, nei pressi di Borgo Libertà, a Cerignola. Nell’inchiesta la Capitanata viene descritta come la roccaforte dell’oro rosso, da cui proviene circa il 35 per cento dei pomodori profitti in Italia.
“Impiegati per lo più al nero, non sono pagati a ore, ma a cottimo - scrivono gli autori -. 3,5 euro ogni cassone di 300 chili, cioè meno di 20 euro al giorno, per un lavoro sfiancante. Senza contratto di lavoro, né copertura sanitaria e alla mercé dei “caporali” – gli intermediari tra lavoratori e datori di lavoro. Se hanno fame a metà giornata, sgranocchiano di nascosto un pomodoro. La sera, rientrano nel loro campo, dove hanno affittato un “posto letto”: un materasso all’aria aperta o in una baracca di fortuna.”
"Gli “invisibili” delle campagne di raccolta sono migliaia in tutto il sud Italia. Quasi tutti privi di documenti, sono disposti a tutto pur di lavorare. «Neanche in Africa ho mai visto gente vivere e lavorare in tali condizioni», si indigna Yvan Sagnet, studente camerunese che ha organizzato nel 2010 il primo sciopero di lavoratori stagionali nei campi delle Puglie. Oggi lavora per la CGIL, principale sindacato italiano, per difendere i diritti dei lavoratori stagionali immigrati.”
Ma a suo modo, anche la piana del Tavoliere è un tassello del circolo vizioso del sottosviluppo. La ricchezza che vi viene prodotta sfruttando il lavoro degli “invisibili” non resta qui, finisce alle industrie di trasformazione che operano in Campania.
Nonostante la crisi, la produzione di concentrato di pomodoro è tra le poche a tirare. Secondo i dati elaborati dalla Federazione Italiana dell’industria alimentare, nel 2013 l’Italia ha esportato 1,12 milioni di tonnellate di conserve, con un fatturato di 846 milioni di euro. Il mercato in un anno è cresciuto dell’8.32 per cento.
"La mia famiglia aveva un campo di pomodoro, qualche ettaro. Coltivavamo gli ortaggi e li andavamo a vendere al mercato” - racconta Prince Bony ai due giornalisti autori dell’inchiesta. Raccoglievamo i pomodori in modo diverso, non con i cassonetti come si fa qui. Riempivamo i cesti. Ma vendevamo bene: c’era un mercato florido.”
Oggi non più. Le importazioni di concentrato di pomodoro dall’Italia hanno distrutto sia la produzione che il mercato locale in Ghana, impoverendo ancora di più l’economia.
La storia di Prince Bony è emblematica di questo meccanismo perverso. Seduto davanti alla sua casa fatiscente, che dovrà presto lasciare perché il tetto minaccia di crollare, non sa dove andrà per continuare il suo viaggio. Vero e proprio Sisifo dei tempi moderni, sembra condannato a raccogliere pomodori come il figlio di Eolo faceva rotolare la sua pietra verso la cima della montagna. Quello che Prince ignora è che il frutto del suo lavoro al nero, nei campi di pomodori del sud Italia, rischia di spingere a loro volta gli agricoltori dell’Upper East Region, nel nord del Ghana, ad abbandonare le loro terre. Quelle stesse terre che un tempo erano anche le sue.
Un ampio estratto dell’inchiesta corredato da grafici, animazioni e filmati, è dispositive sul sito de L’Internazionale. Il webdoc prodotto dalla bella rivista si avvale della partecipazione di Jacopo Ottaviani (ricerca e dati), Mario Poeta (fotografie e video), Isacco Chiaf (design e sviluppo)
Potete leggerlo a questo link.
A raccontare la vicenda sono stati su Le Monde Diplomatique, Mathilde Auvillain e Stefano Liberti. Realizzata grazie a The Innovation in Development Reporting Grant Programme dello European Journalism Center (EJC), finanziato dalla Bill e Melinda Gates Foundation (ne ho parlato già in questa lettera meridiana), l’inchiesta - con il titolo Il lato oscuro dei pomodori italiani -, è stata pubblicata in Italia dal settimanale Internazionale. È la copertina del n. 1066.
I fatti al centro del reportage sono messi in evidenza con efficacia nel sottotitolo: il lavoro dei braccianti africani nell’Italia del sud serve a produrre le conserve di pomodoro che sono esportate a prezzi stracciati in Ghana. Dove fanno concorrenza ai prodotti locali e stravolgono le abitudini alimentari della popolazione.
L’inchiesta di Mathilde Auvillain e Stefano Liberti è preziosa, per il suo particoare punto di vista. Al centro non c’è quello sguardo ipocrita che affiora dalla classiche indagini di Gatti su L’Espresso, nelle quali lo schiavismo e lo sfruttamento sembrano essere un’aberrazione, e non invece qualcosa di perfettamente coerente al sistema. Auvillain e Liberti cercano di capire fino in fondo.
Prince Bony |
Prince Boy diventa l’emblema di questo circolo vizioso: uomini che partono dalle loro terre sottosviluppate con le loro braccia e il loro desiderio di futuro, e vanno a produrre merci nelle zone sviluppate, che li rivendono ai loro paesi d’origine, distruggendo l’economia locale. I ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri.
Prince Bony abita con i suoi compagni di sventura a Ghana House, nei pressi di Borgo Libertà, a Cerignola. Nell’inchiesta la Capitanata viene descritta come la roccaforte dell’oro rosso, da cui proviene circa il 35 per cento dei pomodori profitti in Italia.
“Impiegati per lo più al nero, non sono pagati a ore, ma a cottimo - scrivono gli autori -. 3,5 euro ogni cassone di 300 chili, cioè meno di 20 euro al giorno, per un lavoro sfiancante. Senza contratto di lavoro, né copertura sanitaria e alla mercé dei “caporali” – gli intermediari tra lavoratori e datori di lavoro. Se hanno fame a metà giornata, sgranocchiano di nascosto un pomodoro. La sera, rientrano nel loro campo, dove hanno affittato un “posto letto”: un materasso all’aria aperta o in una baracca di fortuna.”
"Gli “invisibili” delle campagne di raccolta sono migliaia in tutto il sud Italia. Quasi tutti privi di documenti, sono disposti a tutto pur di lavorare. «Neanche in Africa ho mai visto gente vivere e lavorare in tali condizioni», si indigna Yvan Sagnet, studente camerunese che ha organizzato nel 2010 il primo sciopero di lavoratori stagionali nei campi delle Puglie. Oggi lavora per la CGIL, principale sindacato italiano, per difendere i diritti dei lavoratori stagionali immigrati.”
Ma a suo modo, anche la piana del Tavoliere è un tassello del circolo vizioso del sottosviluppo. La ricchezza che vi viene prodotta sfruttando il lavoro degli “invisibili” non resta qui, finisce alle industrie di trasformazione che operano in Campania.
Nonostante la crisi, la produzione di concentrato di pomodoro è tra le poche a tirare. Secondo i dati elaborati dalla Federazione Italiana dell’industria alimentare, nel 2013 l’Italia ha esportato 1,12 milioni di tonnellate di conserve, con un fatturato di 846 milioni di euro. Il mercato in un anno è cresciuto dell’8.32 per cento.
"La mia famiglia aveva un campo di pomodoro, qualche ettaro. Coltivavamo gli ortaggi e li andavamo a vendere al mercato” - racconta Prince Bony ai due giornalisti autori dell’inchiesta. Raccoglievamo i pomodori in modo diverso, non con i cassonetti come si fa qui. Riempivamo i cesti. Ma vendevamo bene: c’era un mercato florido.”
Oggi non più. Le importazioni di concentrato di pomodoro dall’Italia hanno distrutto sia la produzione che il mercato locale in Ghana, impoverendo ancora di più l’economia.
La storia di Prince Bony è emblematica di questo meccanismo perverso. Seduto davanti alla sua casa fatiscente, che dovrà presto lasciare perché il tetto minaccia di crollare, non sa dove andrà per continuare il suo viaggio. Vero e proprio Sisifo dei tempi moderni, sembra condannato a raccogliere pomodori come il figlio di Eolo faceva rotolare la sua pietra verso la cima della montagna. Quello che Prince ignora è che il frutto del suo lavoro al nero, nei campi di pomodori del sud Italia, rischia di spingere a loro volta gli agricoltori dell’Upper East Region, nel nord del Ghana, ad abbandonare le loro terre. Quelle stesse terre che un tempo erano anche le sue.
Un ampio estratto dell’inchiesta corredato da grafici, animazioni e filmati, è dispositive sul sito de L’Internazionale. Il webdoc prodotto dalla bella rivista si avvale della partecipazione di Jacopo Ottaviani (ricerca e dati), Mario Poeta (fotografie e video), Isacco Chiaf (design e sviluppo)
Potete leggerlo a questo link.
Commenti
Ma non colpevolizzerei affatto, come fa Geppe, il ruolo di gente come il giornalista Fabrizio Gatti. E' vero o no che c'è voluto il suo dossier per svelare al mondo la vergogna delle nostre campagne e dei nostri "imprenditori" (foggiani, sanseveresi e cerignolani), dove i diritti valgono meno che in Ghana, come conferma il lavoratore ghanese "sequestrato" per necessità in Capitanata?
E noi, nel frattempo, dove stavamo?
Ha ragione la preside Boccia a stupirsi del fatto che, a diversi anni da quella pubblica denuncia, tutto resta com'è. Mi domando perché mai in Capitanata le retate all'alba si fanno solo per gli spacciatori di droga (e ci mancherebbe altro!)e non anche per gli schiavisti di braccia, siano essi 'caporali' e - soprattutto - proprietari terrieri? Non ho ricette per impedire che il nostro pomodoro finisca inscatolato nel Ghana, ma so che esistono leggi e poteri per impedire che la schiavitù regni ancora in provincia di Foggia nel 2014. (m.d.t.)