I bombardamenti come public history, ma attenti alle sterili polemiche

Il settantesimo anniversario dei  bombardamenti alleati su Foggia potrebbe essere un’irripetibile occasione per cominciare a costruire una storia pubblica anche nel capoluogo dauno, a partire da quella che è stata la pagina più atroce e più drammatica della sua storia recente.
Ve ne sarebbe necessità, per tante ragioni, la più importante delle quali sta nella urgenza di ritrovare una memoria condivisa del passato, che sia in grado di far percepire meglio il presente alla comunità cittadina, consolidandone la malferma identità.
I bombardamenti non distrussero soltanto vite umane e palazzi. Uccisero la memoria, e con essa, annichilirono pezzi consistenti di identità. La progressiva rarefazione della memoria collettiva trovò paradossalmente un’alleata nella tumultuosa ricostruzione che la città conobbe a guerra conclusa. Nel giro di pochi anni Foggia esplose dal punto sia dal punto di vista edilizio che da quello demografico. Non si trattava soltanto di ricostruire quanto la guerra aveva distrutto, ma anche di dare un tetto alle migliaia di immigrati che si trasferirono nel capoluogo dagli altri centri della provincia. Foggia fu seconda soltanto a Catanzaro, nel Mezzogiorno, per tasso di immigrazione. Crebbe ad un ritmo galoppante: 3.000 nuovi foggiani all’anno. Una nuova, e non radicata memoria,  andò così a sovrapporsi alla memoria rarefatta e quasi cancellata, lasciata in eredità dalla guerra.

La public history è un concetto complesso e comprensivo, che estende il modo tradizionale di “fare storia” allargandolo a testimonianze, racconti, materiali, documenti non necessariamente prodotti da ambienti accademici. Anche il racconto di un nonno che ricorda quanto accadde a Foggia mentre cadevano le bombe è un documento di storia pubblica.
All'affermazione del fenomeno, hanno contribuito senz’altro la rete e il social network. Moltiplicando le fonti, la storia pubblica ha più possibilità di produrre una storia condivisa e consapevole, rispetto alla storiografia accademica. Per costruirla, non basta naturalmente creare un archivio o pubblicare una pagina su facebook o un canale su YouTube. Però è un buon inizio, ammesso che il processo successivo venga in qualche modo metabolizzato sia da quanto producono i materiali storiografici, sia da quanti ne usufruiscono.
Una storia pubblica dei  bombardamenti del 1943 (ma anche, perché no, della successiva ricostruzione) si sta in qualche modo già sedimentando: vi è stata (assai più di quanto non fosse successo in occasione delle celebrazioni che si svolsero dieci o vent’anni fa, ed è questa una circostanza che dovrebbe far riflettere) una indubbia ripresa d’interesse attorno al tema, sono nate reti come Le Radici Le Ali promossa dall’Auser o il Comitato per il Monumento alle Vittime del 1943, pagine documentate e soprattutto partecipate come Foggia in guerra (da cui è tratta la foto sopra). L’idea stessa del monumento, che tenta di colmare una dolorosa lacuna, un autentico vuoto di memoria (è assurdo che in settant’anni la città non sia riuscita a dedicare un monumento ai suoi caduti), ma anche la banca della memoria proposta dal cartello di associazioni che fanno capo a Le Radici Le Ali, così come gli sforzi individuali di tanti autori e di tanti ricercatori chestanno producendo memoria. Tutto questo rappresenta, se vogliamo, un incipit di public history, su cui sarebbe il caso riflettere collettivamente, e possibilmente senza polemiche, senza furbizie, senza quel retropensiero che avvelena le migliori intenzioni.
Non amo molto leggere le lunghe note (il più delle volte autoreferenziali) che girano sul social network. Una ha però attirato la mia attenzione, qualche giorno fa, perché riguardava proprio la questione di cui sto parlando. Per la verità non ho granché capito l’oggetto del contendere. Emergeva tuttavia piuttosto nitido ed inquietante un quadro di dissapori, contrasti, divergenze tra i diversi autori che si stanno occupando della storia dei bombardamenti.
È giusto e legittimo che il giudizio storico non sia unanime. Ma una cosa è il pluralismo delle idee, altra la polemica, tanto più quando è fine a se stessa.
Come bell'esempio di una possibile public history dei bombardamenti, mi piace invece segnalare questo bell'articolo di Alfredo Padalino (Foggia 1943, contabilità di morte leggendaria?) pubblicato sul numero trenta di Oblomov Press che affronta la mai risolta questione dell'effettivo numero di vittime dei raid degli alleati. L'articolo si segnala per la sua compostezza, per la serenità e per la civiltà con cui il tema viene discusso, ponendolo, tra l'altro, in relazione con quanto accaduto in altre città che furono oggetto di pesanti bombardamenti come Dresda e Coventry. Una rimarchevole testimonianza di come si possa fare storia pubblica, contribuendo alla coscienza collettiva.

Commenti

Anonimo ha detto…
«I bombardamenti non distrussero soltanto vite umane e palazzi. Uccisero la memoria, e con essa, annichilirono pezzi consistenti di identità.» Parole che sono contemporanee, che dovrebbero far riflettere chi da anni ci ha condannati al ritorno di quei tristi anni. Ricostruire Foggia non sarà semplice, ma lo si può fare unendo le forze con le giuste persone. I foggiani dovrebbero comprenderlo se vogliono consegnare la nostra cara amata città di Foggia ai loro, e nostri, figli.

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