Gli Etruschi? Altro che settentrionali. Erano meridionali. Anzi turchi (di Michele Eugenio Di Carlo)


La questione meridionale ha radici remote, e profonde. Un ulteriore conferma giunge dalla pubblicazione recente di un saggio che guarda al problema da una prospettiva originale e con un approccio multidisciplinare. Leggete con attenzione la bella ed esaustiva recensione di Michele Eugenio Di Carlo per capire come la questione meridionale sia non soltanto antica, ma anche attualissima. (g.i.)
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Marco Ascione è un giovane ricercatore napoletano, esperto in dinamica delle popolazioni e delle interazioni nei sistemi antropici delle risorse disponibili con le caratteristiche geografiche e morfologiche di un territorio.

I suoi studi e le sue ricerche sono stati presentati il 1° luglio al Parco della Grancia in occasione degli “Stati Generali del Sud” e il 4 luglio alla Camera dei Deputati alla presenza del giornalista Pino Aprile.  
Il testo “Italós, perché siamo arrivati a tanto?” rappresenta  “una breve trattazione sull’origine delle divisioni, delle unificazioni e dell’attuale condizione degli abitanti dello Stivale”, un tema contingente sia perché tocca le problematiche migratorie sia per  il provvedimento che la ministra Erica Stefani si appresta a portare il 22 ottobre al Consiglio dei Ministri, quando  potrebbe essere sancita nei fatti la secessione, seppur fiscale, dell’Italia.
Scorrendo la bibliografia del testo si nota all'istante che l’autore non ha tralasciato nessun aspetto di riferimento alla Questione Meridionale, passando agevolmente da Nitti, Sonnino, Fortunato a Gramsci, Sereni, Einaudi, Alianello, Pedìo, fino ai  recenti Ciccarelli, Fenoaltea, Daniele, Malanima, Ciconte, De Crescenzo, Aprile, Collet, Di Rienzo, Clark, Guerri, Del Boca. Ascione non ha neppure mancato di citare autori del calibro di de’ Sivo, Ciano, Di Fiore, Salvemini, Gobetti, Sturzo, Dorso, Zanotti-Bianco, Franchetti, Rossi-Doria, Smith, Duggan, Rial, Romano, Davis. 
Autori, economisti, storici, intellettuali  che hanno proposto una rilettura critica del processo unitario, ben oltre i tentativi strumentali e agiografici di ricondurre la storia nel solco di quei poteri spesso nefasti che hanno governato l’Italia dal 1861 in poi. 
Marco Ascione
Un passaggio obbligato per gli studiosi, ma anche per chi è alla ricerca di una conoscenza storica non convenzionale, che si presti scientificamente alle complesse dinamiche economiche e sociali dell’attuale società italiana. 
Un passaggio che Ascione percorre con destrezza e abilità tali che il trasferimento dalla bibliografia alla prefazione di Lino Patruno e alla introduzione di Marcello Musso avviene in un lampo,  nell’ambito di una appassionata e fiduciosa  ricerca di nuove tesi e nuovi spiragli di ricerca che il testo promette con tutta evidenza già dalla bibliografia.
Lino Patruno, già direttore della Gazzetta del Mezzogiorno e docente di Economia all’Università degli Studi di Bari, chiarisce il pregio del lavoro di Ascione: è il racconto di una storia che parte da molto più lontano di quanto fatto generalmente finora, una vera e propria “camera delle meraviglie”. Ed è proprio questa la percezione che travolge chi si addentra nella lettura di “Italós” e vaga per la penisola italica dall’epoca degli Etruschi fino a giungere al processo unitario, travagliato e devastante per le sorti del nostro Mezzogiorno. 
L’introduzione di Marcello Musso, Pubblico Ministero che ha ottenuto le condanne di Riina e Bagarella, parla di un’analisi originale e multiforme, ricca di illuminazioni, che illustra “le ragioni profonde delle dinamiche storiche che nel tempo hanno generato divisioni, unificazioni e situazioni peculiari della nostra Penisola”.
Tra queste ragioni l’autore pone l’attenzione con evidenze scientifiche a come le mafie durante i processi storici si sono alimentate nelle aree depauperate, sfruttate, colonizzate, mentre sono regredite in quelle in cui vengono impiegate risorse finanziarie per la riqualificazione e lo sviluppo del territorio. I riferimenti all’attualità del nostro Sud non sono casuali, ma precisi e puntuali.
Ascione non tralascia di affrontare la questione della tanto criticata, quanto mal percepita,  “mentalità” dei residenti al Sud, dimostrando, di nuovo percorrendo un lungo periodo storico, che – come scrive Musso – la mentalità di un popolo è il prodotto e non la causa del suo livello di sviluppo e di progresso.
Sicuramente l’approccio multidisciplinare del testo, poco praticato altrove, è uno dei punti di forza, un valore assoluto e insolito: Ascione passa da una materia all’altra con competenza e agilità e affronta da esperto le dinamiche storiche curando gli aspetti economici, giuridici, antropologici, criminologici, geografici, sociologici, psicologici, demografici, linguistici, non prendendo mai le distanze dall’Etologia, dalla Genetica e dall’Ecologia. 
Sono soprattutto queste ultime discipline, e la loro compenetrazione non causale nel testo, che colpiscono il docente di scienze che risiede in chi, letto il testo, ne sta descrivendo le “meraviglie”. In particolare quando Ascione affronta il tema delle origini degli Etruschi.
Sulle origini, e sulla lingua degli Etruschi,  le tesi sono  sempre state discordanti. Mentre Erodoto, l’unico contemporaneo agli eventi, affermava che era un popolo proveniente dalla Lidia, l’attuale Turchia, Dionigi di Alicarnasso, qualche secolo più tardi, li considerava un popolo autoctono abitante la penisola italica sin dalla Preistoria. L’ipotesi che gli Etruschi provenissero dall’arco alpino o dal centro-Europa non è mai stata sostenuta da fonti autorevoli, mentre quella di Massimo Pallottino – neolaureato senza esperienza che assumerà nella propria persona numerosi incarichi scientifici a livello istituzionale –, affermante che la civiltà etrusca fosse l’evoluzione della civiltà Villanoviana, seppur con decise influenze greche e fenicie, è stata volentieri accreditata durante il periodo fascista per ragioni del tutto comprensibili.
Le origini misteriose della civiltà etrusca, che raggiunse uno splendore tale da competere e contrastare quella greca insediatesi nel sud della penisola italica tra l’VIII e il IV secolo a.C., sono in gran parte dovute alle difficoltà di decifrarne la lingua.
Ed è su queste origini che – a mio parere – Italós, sostenendo la tesi di Erodoto, mette una parola definitiva su un passato che impone riflessioni accurate; un passato che ci richiama all’attualità dei fenomeni migratori in atto. Secondo Ascione è stata la posizione strategica al centro del Mediterraneo della penisola italica a favorire l’approdo da Est. Quel mediterraneo orientale,  centro mondiale del progresso, da cui provenivano idee, innovazioni, risorse umane, tecnologiche e culturali. È così che mentre i Greci  si posizionarono a sud, gli Etruschi dall’attuale Turchia si stanziarono tra l’Arno e il Tevere, evitando l’espansione greca nel centro-nord.
Oggi il Mezzogiorno d’Italia è ancora al centro del Mediterraneo, al centro di una nuova rotta della seta passante per un canale di Suez potenziato, ma la classe politica nord-centrica non ha occhi per vedere.
“Che cos’è che è andato storto?”
Il testo di Ascione ci invita alla riflessione e ci fornisce molte risposte.
Michele Eugenio Di Carlo

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