23 agosto 1927, la disperazione della famiglia Sacco e di Torremaggiore

Novant'anni fa, il 23 agosto del 1927, una ingiusta sentenza condannò a morte, mandandoli sulla sedia elettrica, i due anarchici ed emigranti italiani Nicola Sacco, di Torremaggiore, e Bartolomeo Vanzetti. Quell'errore giudiziario, che sarebbe stato riconosciuto diversi decenni dopo dalla magistratura americana, è passato alla storia come simbolo dell'atroce assurdità della pena di morte, nonché dei pregiudizi sociali e culturali che nella storia della giustizia hanno spesso guidato la mano della giustizia.
L'esecuzione dei due italiani provocò reazioni, proteste e scioperi in tutto il mondo. I giornali seguirono spasmodicamente la vicenda.
Di seguito, per gli amici e i lettori di Lettere Meridiane l'articolo che La Stampa di Torino pubblicò nella seconda pagina del numero in edicola il 24 agosto 1927, raccontando le reazioni della cittadinanza di Torremaggiore e del padre dell'anarchico pugliese ucciso sulla sedia elettrica.
Cliccando qui, potete invece scaricare l'articolo di copertina (il cui titolo vedete nella immagine che illustra il post), con il racconto delle ultime ore di Sacco e Vanzetti e della esecuzione.
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Come il padre di Sacco ha ricevuto la notizia

Roma, 23 notte
Il Giornale d'Italia da Foggia: « Ho voluto recarmi nella città natale di Nicola Sacco, a Torre Maggiore, «che da qualche tempo è mèta pietosa di autorità e giornalisti. La ridente cittadina sembrava avvolta nel lutto e una mestizia impressionante grava sul volto di tutti i cittadini.

L'angosciosa attesa di questi giorni è stata così delusa e i concittadini del povero Sacco, che essi conobbero buono e laborioso nella sua giovinezza, sono rimasti ben scossi dalla funesta notizia. Presso la casa dì Nicola Sacco, una modesta abitazione al piano terreno nella via principale del paese, è un'animazione insolita. Il tragico epilogo della lunga vicenda è stato comunicato verso le 11 dai giornalisti alla famiglia Sacco, che nutriva ancora la speranza di grazia. Anche perchè, come è noto, negli ultimi tempi erano state a Torre Maggiore alcune signore americane, rappresentanti del Comitato di difesa pro Sacco e Vanzetti e avevano dato assicurazione che il governatore Fuller avrebbe all'ultimo momento revocata la sentenza di morte. Appena i congiunti ebbero appresa la tragica fine del loro caro, con le lacrime agli occhi in preda ad una esaltazione, frenetica, l'hanno comunicata al vecchio padre di Sacco, che stava in un cantuccio, muto ed immobile, quasi presentisse il triste  destino che doveva colpire il suo figliuolo. Michele Sacco ha avuto una scossa poi come delirando ha gridato « Hanno ucciso il mio figliuolo innocente!». Quindi è ricaduto sulla sedia singhiozzando ed emettendo di tanto in tanto parole di maledizione contro coloro che avevano tolto al suo cuore di padre l'ultima speranza.
«La casa Sacco si è andata a mano a mano riempiendo di gente del vicinato che, piangendo, esternava il suo dolore. Sembrava di assistere a un rito religioso quando i congiunti hanno posto dinanzi alla immagine della Madonna una lampada accesa... ». Al telegramma inviato a nome di Michele Sacco dal Presidente del CircoIo cattolico di Torre Maggiore a S. S. Pio XI, dal Vaticano è stato ieri sera cosi risposto : «Santo Padre, ricevuto vostro telegramma, ha fatto quello che gli era possibile presso competenti autorità umane, dopo avere pregato Dio, secondo vostra intenzione e come continuerà a fare. — Cardinale Gasparri».
I giornali romani commentano tutti il triste avvenimento. Sotto il titolo: «Senza nobiltà», Il Lavoro d'Italia scrive: « Noi, che come italiani e uomini di cuore, abbiamo seguito con trepidazione e commozione il macabro gioco, la cui posta era la vita di due connazionali, non abbiamo oggi risentimenti, nè ribellioni, nè ritorsioni verso chi ha consumato e lasciato consumare questa infamia. Un solo sentimento è in noi: un incommensurabile, infinito disprezzo per giudici, governatori, dirigenti, che ci allontana disgustati da un complesso sociale che si ammanta del nome pomposo di civiltà, ma che si riporta verso forme che si possono ritenere superate da ogni più barbaro aggregato umano. Nella spavalda e cretina crudeltà della magistratura del Massachusetts e dì coloro che l'hanno spalleggiata e difesa, vi è stata anche l'intenzione di sfidare l'Europa e la civiltà europea. Ma non verrà mai ad un europeo di raccogliere questa sfida. Le regole di cavalleria impongono di raccogliere le sfide dei nostri pari. Ora dalla mentalità americana ci divide un abisso. Non siamo abituati ad abbassare la vita fino al punto di farne una operazione commerciale. Non riusciamo e non riusciremo mai a porre come base fondamentale della nostra esistenza la equazione fra il dollaro e lo spirito. La vera autentica civiltà americana è quella che trema per la sicurezza dei suoi ben ricolmi forzieri, e che per questa paura sacrifica, dopo una tragica attesa, la vita di due esseri umani, sospesi per otto anni fra la vita e la morte. Non abbiamo niente da imparare e niente da temere ».
II Giornale d'Italia così conclude il suo editoriale:
« La morte non sopprime l'angoscioso problema della verità, che si fa ancora più atroce, e non chiude la bocca ai milioni di uomini che levano più alta la loro protesta nel dubbio l'errore, che il metodo della giustizia del Massachusetts ha solo aggravato intrecciandolo con un orribile martirio che non ha esempi nella storia dei paesi civili».

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