Mons. Pelvi: "Inauguriamo per Foggia la stagione dei doveri"
Nel suo primo messaggio rivolto alla comunità cittadina, l'arcivescovo di Foggia, mons. Vincenzo Pelvi, avva individuato nell'accidia il male più profondo della città. Nel messaggio ai fedeli in occasione della festività patronale, l'invito si fa pressante: bisogna superare un approccio puramente emotivo all'esistenza, bisogna tornare alla pratica del pensare,
del confronto, del dialogo, della pazienza, del sacrificio. Un appello generale alla responsabilità. Un messaggio assai ricco di umanità, m anche di speranza e di fede. Eccone il testo integrale.
come dinanzi ad un album di famiglia, sfoglio nella mente e vedo scorrere le nostre giornate. Siamo un poco tutti alla finestra a guardare, aspettando che passi questo tempo di confusione, interessi soggettivi e formalismi ipocriti.
Nulla è impossibile a Dio. Con la grazia del Signore desidero con voi che rifiorisca l’ospitalità, l’accoglienza, l’amicizia ma soprattutto l’amore coniugale.
Accostando le storie familiari della nostra Città, ascolto spesso inconsapevoli paure e sofferte solitudini. Tra noi c’è tanto dolore gridato e soffocato, espresso con lacrime cocenti e brividi di vuoto: bambini con gravi patologie, adolescenti con significative disabilità, mancanza di cibo e di lavoro, lutto per la tragica morte di figli, offese alla dignità della persona umana. E, nonostante così immensa passione, vedo aumentare quotidianamente le separazioni coniugali.
Nelle nostre famiglie, pur radicate nei valori evangelici, spesso noto l’assenza di uno dei genitori, particolarmente il padre, che vanifica il ruolo dell’altro. Sembra che non ci siano più genitori e figli, perché tutti si collocano sullo stesso piano per età, autorità e mentalità. Tutti esigono gli stessi diritti, hanno gli stessi gusti e si comportano alla stessa maniera. Verifico come adulti e ragazzi diventano succubi delle medesime insicurezze e fragilità (alcool, droga, aggressività, sessualità).
Purtroppo viviamo solo con un approccio emotivo all’esistenza. Si scelgono, infatti, emozioni immediate, travolgenti, di breve durata, incapaci di giungere alla profondità delle cose. A nessuno sfugge la precarietà delle emozioni che porta a dei comportamenti che sfociano anche nella morte o in infermità permanenti. Penso agli incidenti stradali di questi mesi, agli atti di violenza, alle notti sballate e a quegli atteggiamenti sessuali spregiudicati, dove non si è coscienti di quello che si sta commettendo. Quasi sempre un attimo d’incoscienza distrugge la propria vita e quella di tanti innocenti. Se capissimo che le emozioni hanno bisogno del supporto della ragione saremmo tutti interiormente più pacificati, consapevoli che la dimensione affettiva esige quella valutativa.
Come vostro fratello nella fede, vorrei invitarvi alla pratica del pensare, del confronto, del dialogo, della pazienza, del sacrificio: vie provvidenziali per acquisire la capacità di mediazione e di perdono. Un matrimonio non può essere meraviglioso o da interrompere… è solo impegnativo; un lavoro non può essere solo gratificante o da cambiare… è solo faticoso; un’amicizia non è solo totale oppure odiosa… ha dei passaggi che maturano nel tempo.
Accettiamo con gioia la responsabilità delle nostre scelte, di un progetto di vita che può dare senso al vissuto. Diversamente saremo sempre più egoisti perché intenti a voler tutto e subito secondo i propri bisogni e senza alcuna attenzione agli altri.
Inauguriamo nella nostra Città la stagione dei doveri, prendendo sul serio il lavoro, l’educazione dei figli, l’impegno sociale, l’esperienza di fede. E, soprattutto, impariamo a riconoscere i nostri limiti rifiutando con determinazione la mentalità di onnipotenza secondo cui tutto è accessibile e dovuto. L’amore evangelico non è mai nell’io, ma nell’incontro tra un io e un tu, dove non ci sono pregiudizi o verdetti ma prospettive di speranza. C’è qualcosa di più alto che vincere o perdere: è donarsi.
Consideriamo, perciò, la nostra finitudine riscoprendoci creature e allontanando ogni forma di prepotenza. Ciò è obbedire alla volontà del Signore. Tutto ciò manifesta la testimonianza della parola di Gesù: ogni giorno prendete la vostra croce. In tal modo sapremo padroneggiare le emozioni e costruire affettivamente audaci e forti relazioni.
La devozione alla nostra Patrona non è fatta di parole ma di vita nuova. Permettiamo alla Vergine di spalancare i cuori, di aprire le porte delle nostre case perché vi entri per medicare le ferite sanguinanti, spezzare le catene delle divisioni, far brillare la luce della fiducia, dare coraggio alla carovana di chi è deluso e stanco, donando il balsamo della consolazione.
Papa Giovanni XXIII, in un periodo di crisi come il nostro, in piazza san Pietro invitava la folla: Guardate come è bella la luna stasera, tornate a casa e date una carezza ai vostri bambini. Anche a voi stasera vorrei dire di tornare a casa ripartendo dalla bellezza e dalla tenerezza di cui tutti abbiamo bisogno. All’interesse, al profitto, alla lotta, al disagio sostituiamo la tenerezza di una carezza e la bellezza di Gesù che guarisce le ferite. Gesti di bellezza e di tenerezza apriranno il cuore alla condivisione e saranno semi, fragili ma audaci, che basteranno per camminare insieme sino all’eternità.
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Carissimi,come dinanzi ad un album di famiglia, sfoglio nella mente e vedo scorrere le nostre giornate. Siamo un poco tutti alla finestra a guardare, aspettando che passi questo tempo di confusione, interessi soggettivi e formalismi ipocriti.
Nulla è impossibile a Dio. Con la grazia del Signore desidero con voi che rifiorisca l’ospitalità, l’accoglienza, l’amicizia ma soprattutto l’amore coniugale.
Accostando le storie familiari della nostra Città, ascolto spesso inconsapevoli paure e sofferte solitudini. Tra noi c’è tanto dolore gridato e soffocato, espresso con lacrime cocenti e brividi di vuoto: bambini con gravi patologie, adolescenti con significative disabilità, mancanza di cibo e di lavoro, lutto per la tragica morte di figli, offese alla dignità della persona umana. E, nonostante così immensa passione, vedo aumentare quotidianamente le separazioni coniugali.
Nelle nostre famiglie, pur radicate nei valori evangelici, spesso noto l’assenza di uno dei genitori, particolarmente il padre, che vanifica il ruolo dell’altro. Sembra che non ci siano più genitori e figli, perché tutti si collocano sullo stesso piano per età, autorità e mentalità. Tutti esigono gli stessi diritti, hanno gli stessi gusti e si comportano alla stessa maniera. Verifico come adulti e ragazzi diventano succubi delle medesime insicurezze e fragilità (alcool, droga, aggressività, sessualità).
Purtroppo viviamo solo con un approccio emotivo all’esistenza. Si scelgono, infatti, emozioni immediate, travolgenti, di breve durata, incapaci di giungere alla profondità delle cose. A nessuno sfugge la precarietà delle emozioni che porta a dei comportamenti che sfociano anche nella morte o in infermità permanenti. Penso agli incidenti stradali di questi mesi, agli atti di violenza, alle notti sballate e a quegli atteggiamenti sessuali spregiudicati, dove non si è coscienti di quello che si sta commettendo. Quasi sempre un attimo d’incoscienza distrugge la propria vita e quella di tanti innocenti. Se capissimo che le emozioni hanno bisogno del supporto della ragione saremmo tutti interiormente più pacificati, consapevoli che la dimensione affettiva esige quella valutativa.
Come vostro fratello nella fede, vorrei invitarvi alla pratica del pensare, del confronto, del dialogo, della pazienza, del sacrificio: vie provvidenziali per acquisire la capacità di mediazione e di perdono. Un matrimonio non può essere meraviglioso o da interrompere… è solo impegnativo; un lavoro non può essere solo gratificante o da cambiare… è solo faticoso; un’amicizia non è solo totale oppure odiosa… ha dei passaggi che maturano nel tempo.
Accettiamo con gioia la responsabilità delle nostre scelte, di un progetto di vita che può dare senso al vissuto. Diversamente saremo sempre più egoisti perché intenti a voler tutto e subito secondo i propri bisogni e senza alcuna attenzione agli altri.
Inauguriamo nella nostra Città la stagione dei doveri, prendendo sul serio il lavoro, l’educazione dei figli, l’impegno sociale, l’esperienza di fede. E, soprattutto, impariamo a riconoscere i nostri limiti rifiutando con determinazione la mentalità di onnipotenza secondo cui tutto è accessibile e dovuto. L’amore evangelico non è mai nell’io, ma nell’incontro tra un io e un tu, dove non ci sono pregiudizi o verdetti ma prospettive di speranza. C’è qualcosa di più alto che vincere o perdere: è donarsi.
Consideriamo, perciò, la nostra finitudine riscoprendoci creature e allontanando ogni forma di prepotenza. Ciò è obbedire alla volontà del Signore. Tutto ciò manifesta la testimonianza della parola di Gesù: ogni giorno prendete la vostra croce. In tal modo sapremo padroneggiare le emozioni e costruire affettivamente audaci e forti relazioni.
La devozione alla nostra Patrona non è fatta di parole ma di vita nuova. Permettiamo alla Vergine di spalancare i cuori, di aprire le porte delle nostre case perché vi entri per medicare le ferite sanguinanti, spezzare le catene delle divisioni, far brillare la luce della fiducia, dare coraggio alla carovana di chi è deluso e stanco, donando il balsamo della consolazione.
Papa Giovanni XXIII, in un periodo di crisi come il nostro, in piazza san Pietro invitava la folla: Guardate come è bella la luna stasera, tornate a casa e date una carezza ai vostri bambini. Anche a voi stasera vorrei dire di tornare a casa ripartendo dalla bellezza e dalla tenerezza di cui tutti abbiamo bisogno. All’interesse, al profitto, alla lotta, al disagio sostituiamo la tenerezza di una carezza e la bellezza di Gesù che guarisce le ferite. Gesti di bellezza e di tenerezza apriranno il cuore alla condivisione e saranno semi, fragili ma audaci, che basteranno per camminare insieme sino all’eternità.
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